DA PRATO DI CORREGGIO ALLA QUESTURA PASSANDO PER IL RANCH

6 Novembre 2017

Paolo Bonacini, giornalista

paolo-bonacini2

Ci eravamo lasciati con l’ultimo articolo a Prato di Correggio, dove Antonio Valerio tra il 2006 e il 2008 acquista due aree dall’imprenditore coimputato nel processo Aemilia Pasquale Brescia. Ci nasceranno delle villette su quella terra, frutto dello scambio di favori che il collaboratore racconta ai PM Mescolini e Ronchi e al maresciallo D’Agostino della Polizia Giudiziaria nell’interrogatorio dell’8 settembre. Il do ut des è tra la famiglia Brescia che acquista il terreno classificato agricolo, sapendo già che diventerà edificabile, e il Comune che riceverà in cambio strutture pubbliche a costo zero: una palestra e un centro sociale. E’ curioso che nell’interrogatorio sia un PM a chiedere ad un appartenente alla ‘ndrangheta: “Questa operazione avviene in maniera lecita? Può il Comune modificare un’area in cambio di due strutture?” Fidarsi della risposta di Valerio sarebbe azzardato ma il collaboratore di giustizia introduce un dettaglio che, se vero, spinge nell’illecito anche la più apparentemente corretta procedura urbanistica: “Si può. Tecnicamente si può. Soprattutto se c’è il tecnico all’urbanistica che piglia il quibus”.

In attesa di capire se c’è davvero un quibus, chi lo abbia preso e a quanto ammonti, vediamo altri dettagli di quell’operazione.

Dice Valerio di avere acquistato tre lotti di quel terreno già urbanizzato, pagandolo “una follia rispetto a quello che hanno pagato loro”.

Il contratto di vendita davanti al notaio Vacirca parla di 450mila euro e il maresciallo D’Agostino spiega che si tratta delle particelle 644, 645 e 646. Ad acquistare è la società Giemme sas di Valerio, a vendere la Pitagora Costruzioni riconducibile alla famiglia Brescia.

Poi c’è il nero: “Ho pagato un surplus” dice Valerio “C’è l’atto notarile ma quello non dice la verità. Perché gli ho dato 70/80 mila euro in nero che li ho prelevati dal conto di mia moglie”. Ma non è l’unico costruttore a pagare una fetta di terra in contante fuori rogito. Aggiunge più avanti Valerio nella deposizione: “Voglio precisare che sia nell’area 1 che nell’area 2 di Prato di Correggio, lì tutti quelli che hanno acquistato ne hanno sborsato del nero. Tutti, che alla fine siamo tutti cutresi: Rizzo, Gino Cordua, Ciccio Guerra, Pasquale Colacino. Il nero lo abbiamo fatto tutti”.

Per acquistare il terreno e in previsione dei costi di costruzione di 12 maisonettes Valerio fa un mutuo fondiario con la banca Popolare di Verona e Novara per 2 milioni e 55 mila euro, metà circa dei quali gli servono per un altro intervento vicino al comune di Bagnolo. La durata è quella minima, 18 mesi, il tasso di interesse è del 3,7%.

I mutui sono un altro settore di approvvigionamento al quale i costruttori di Aemilia fanno volentieri ricorso per generare soldi e prendere fino a tre piccioni con una fava.

Il meccanismo lo spiega Valerio: “Molto probabilmente i Brescia hanno girato dei loro immobili ad altre società, a dei prestanome, che facevano i mutui per andare avanti. Li reinvestivano (i soldi) e loro pagavano la rata del mutuo”.

Non è molto chiaro e allora la procuratrice Beatrice Ronchi chiede spiegazioni: “Quindi il sistema è che tu fai comprare a degli improbabili squattrinati che si intestano il mutuo, magari con una documentazione falsa, poi dopo…”

Valerio: “Sì, faceva così anche Giuseppe Giglio (l’altro pentito del processo Aemilia): il mutuo te lo intesti tu anche se di fatto rimane a me, e in cambio io ti do 20mila euro. Ti faccio un regalo da 20mila euro. Io prendo i soldi del mutuo e poi pago io le rate. Così ottengo due vantaggi, anzi tre. Primo, alla mia banca che mi ha fatto il mutuo per costruire, faccio vedere che ho venduto gli appartamenti e ho incassato. Secondo, in questo modo posso chiedere altri mutui alla stessa banca. Terzo, i soldi entrano tutti nella mia società e io posso reinvestirli”.

I nodi naturalmente verranno al pettine quando si tratterà di pagare tutte le rate di restituzione di quei prestiti ma le storie del processo, dove mutui e società incontrano spesso prestanome o “improbabili squattrinati”, come li chiama la procuratrice Ronchi, ci insegnano che a risolvere il problema non sarà mai chi l’ha creato.

La facilità con cui gli uomini della ‘ndrangheta accedono al credito è comunque impressionante. Valerio racconta che nell’usura si utilizzavano due sistemi standard: il primo è un prestito che genera un interesse variabile dall’8 al 10% da pagare su base settimanale o al massimo ogni dieci giorni. Quindi se ti presto 10mila euro, ogni 10 giorni tu mi paghi mille euro ma il debito resta costante. Il secondo modo è sfruttare lo sconto fatture in banca: io ti presto sempre 10mila euro ma ti fatturo altrettanto per lavori inesistenti e porto le fatture in banca dove mi vengono pagate immediatamente salvo buon fine. In questo secondo caso mi restituirai il prestito con un tasso del 20% entro i 60 o i 90 giorni di limite posto dalla banca per l’incasso.

In entrambi i casi è evidente che io posso fare usura anche senza avere un euro in tasca se ho una banca d’appoggio, come spiega bene Valerio al PM Mescolini: “Io pagavo alla banca l’8% annuale sui soldi che mi prestava e con quelli mi prendevo il 20% ogni due o tre mesi, dottore. Faccia lei”.

Generare e mettere da parte soldi illegalmente è un mestiere e c’è chi questo mestiere lo sa fare meglio di altri. Pasquale Brescia secondo Valerio è tra questi. Anche perché ha una capacità relazionale senza eguali, che si vede nell’effetto calamita del suo ranch e del suo ristorante. Il collaboratore di giustizia la racconta così: “Pasquale Brescia, forte di questi lavori e di queste cose, inizia ad avere contatti con le forze dell’ordine, con i politici, tant’è che… non so se le avete viste le foto con Gasparri (ex ministro delle comunicazioni nel secondo governo Berlusconi). Ce le aveva in carcere e me le ha fatte vedere lì, e con chi più? Con tanti esponenti di Forza Italia, e comunque di tutti gli orientamenti politici.”

Il segno delle entrature di Brescia, più che la foto con Gasparri, lo lasciano le sue amicizie in Questura. Prosegue Valerio: “Le sue attività cominciano a diversificarsi tant’è che poi si fa anche il ranch dei cavalli e incrementa ancora di più le sue conoscenze sia con le forze dell’ordine sia con l’ambiente cutrese, perché si imborghesiscono tutti, tutti quanti vogliono il cavallo, e insomma poi da cosa nasce cosa lì dentro, tra polizia, carabinieri, cutresi.”

Una cosa che nasce secondo Valerio, ad esempio, è la tendenza ad assegnare sempre alle imprese dei fratelli Brescia i lavori edili all’interno della Questura. La dottoressa Ronchi chiede: “Hanno lavorato?”

Risposta: “Certo, altroché! I lavori li facevano loro perché se c’era un preventivo di cifra x, lui scendeva da quella cifra per un 5%, un 2%, o un 3%, e lo pigliava lui il lavoro. Perché c’erano i poliziotti dentro che gli raccontavano qual era la…”

“Aspetti, aspetti, aspetti!” lo interrompe la dottoressa Ronchi.

Valerio: “Siamo qua. E chi si muove.”

Ronchi: “Allora dunque lei dice che Brescia e anche i suoi fratelli hanno lavorato?”

Valerio: “Assolutamente”

Ronchi: “Quindi lei dice, se ho ben capito, attraverso le conoscenze che Brescia Pasquale…”

Valerio: “Dei poliziotti che aveva”

Ronchi: “…all’interno della Questura, poteva conoscere quale fosse l’offerta più bassa?”

Valerio: “La migliore. E lui scendeva. Scendeva di una percentuale in modo che a lui poteva essere concesso il lavoro.”

Ronchi: “E lei sa in particolare che lavori ha svolto Brescia là dentro?”

Valerio: “Ristrutturazione, rifacimenti, ripristini: questi sono i lavori che si fanno in Questura, dottoressa. Si vede pure dall’esterno che è stato rifatto tutto, soprattutto nella via principale. Io lo vedevo lavorare là dentro.”

Ronchi: “E lei lo sa… ha già menzionato Mesiano (il poliziotto condannato a otto anni e sei mesi nel rito abbreviato di Aemilia) ma ce ne sono anche altri che gli potevano dare queste informazioni tra i poliziotti della Questura?”

Valerio: “Dottoressa, tutti quelli che erano al Ranch: tra poliziotti e carabinieri lì ce n’erano una infinità.”

Ronchi: “E quelli che frequentavano quel ranch erano anche utilizzatori del maneggio dei cavalli?”

Valerio: “Assolutamente sì. Loro pagavano solo il sostentamento del cavallo, non è che pagavano la retta o il canone. Il maneggio era tutto gratuito. Era un omaggio sociale, tant’è che dalla socializzazione si è passati all’associazione. E prima ancora che cosa ci girava in quel maneggio…”

Prima che arrivassero i controlli di Aemilia, precisa poi Valerio.

“Prima”, aggiunge, “c’era di tutto e c’era di più. Era veramente un borderline”.

Dovete sapere che Antonio Valerio la parola “borderline” la cita più volte negli interrogatori, ma per lui ha un significato diverso da quello del vocabolario.

Per lui significa “bordello”.

Considerato in conclusione che il maneggio “New West Ranch” di cui stiamo parlando era totalmente abusivo, che per Valerio era un bordello, che lo frequentavano ‘ndranghetisti, poliziotti e carabinieri, non ci resta che chiudere l’articolo con il cavallo del West che mette tutti d’accordo:

“Io vorrei salire su te, e con te mezz’ora farei

il capo dei banditi.

Prima io, sono piccolo io, tocca a me giocare con te,

sono lo sceriffo io.

Tu stai zitto sono il capo dei banditi.

Sono lo sceriffo io.

Ma su Furia si sta anche in tre!”

 

SCRIVETECI! cgilrelegalita@er.cgil.it

Altezza righe+- ADim. carattere+- Stampa

Cerca in archivio per parola chiave

Archivi