TRASFERTA IN SICILIA

14 Settembre 2018

Paolo Bonacini, giornalista

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Salvo Palazzolo è un giornalista di Repubblica che lavora nella redazione di Palermo, città in cui è nato 48 anni fa. Tratta argomenti scomodi come Cosa Nostra, le stragi, la collusione tra mafia, politica e poteri economici nell’isola. Ha pubblicato diversi libri, tra i quali due interviste/conversazioni che meritano in particolare di essere segnalate.

La prima ha il bellissimo titolo: “Ti racconterò tutte le storie che potrò” (Feltrinelli 2013) e consegna a Salvo Palazzolo (e poi a tutti noi) il testamento di Agnese Piraino Leto, vedova del giudice Paolo Borsellino. “Una storia d’amore d’altri tempi, una famiglia che diventa numerosa, una felicità coltivata fino a quando un’auto imbottita di tritolo riduce tutto a brandelli”. Lanciando un ultimo appello: “Aprire gli archivi di Stato”.

La seconda è il colloquio con il magistrato bersaglio numero uno delle mafie in Italia, che quell’appello ha raccolto come titolare dell’inchiesta sulla trattativa Stato-Mafia: Nino Di Matteo. Edito da Bur Rizzoli nel 2015 questo libro è titolato: “Collusi. Perché politici, uomini delle istituzioni e manager continuano a trattare con la mafia”.

Libro che lancia il grido d’allarme: “Cosa Nostra non è sconfitta, ha solo cambiato faccia”.

E questa nuova faccia inizia a mostrare molte similitudini con i tratti distintivi della mafia oggi più potente in Italia: quella ‘ndrangheta economica il cui modus operandi stiamo imparando a conoscere qui al Nord grazie al processo Aemilia. Mi dice Salvo Palazzolo al telefono: “Le storie e le dinamiche che racconta il vostro processo le vediamo poi anche qui in Sicilia”. Ed è il prefetto di Palermo Antonella De Miro, in una intervista rilasciata allo stesso Palazzolo poche settimane fa, a spiegare: “Siamo di fronte a una mafia che ha mutato pelle, perché non opprime con violenza, ma ha sviluppato la capacità di erogare servizi: per una qualsiasi protezione, per un recupero crediti, per una più facile collocazione sul mercato dei propri prodotti, per le false fatturazioni finalizzate a facili arricchimenti. Per questo la mafia fa meno paura, anzi, talvolta è pure ricercata”. Parole pesanti come piombo di una protagonista unica, data l’esperienza anche a Reggio Emilia, del fronte combinato di lotta alla ‘ndrangheta e a Cosa Nostra. Parole straordinariamente simili a quelle pronunciate dai PM di Aemilia nella requisitoria di giugno.

Salvo Palazzolo sa che il suo è un mestiere difficile e che fatto a modo suo comporta anche qualche rischio in più.

Nell’estate dello scorso anno, mentre si occupava del processo a 40 boss di un quartiere centrale di Palermo, una lettera anonima inviata in redazione recitava: “Diteci a quel crasto di Salvo Palazzolo di finirla cu Borgo Vecchio e a quell’altro cornuto del suo amico Nicola Aiello (il giudice del processo) di tenersi basso a settembre (mese della prevista sentenza) asinnò l’abbassamo noi”. Crasto deriva da crastu, che significa montone, cioè cornuto, ma non c’è bisogno di traduzione per comprendere il tono leggermente minaccioso del messaggio.

Ma gli attacchi a volte arrivano anche da dove meno te li aspetti e il 13 settembre, roba di poche ore fa, Salvo Palazzolo si è visto entrare in casa le forze dell’ordine che gli hanno perquisito l’abitazione, controllato il computer e sequestrato il telefono cellulare. Il giornalista ha scoperto così di essere indagato per “rivelazione di notizie”. Non per avere scritto notizie false, ma per averle scritte troppo presto. Lo fece nel marzo di quest’anno quando raccontò su Repubblica la chiusura delle indagini sul depistaggio riguardante la strage di via D’Amelio. La procura di Caltanisetta aveva terminato il proprio lavoro e si apprestava a mandare a processo tre poliziotti sospettati di avere convinto il collaboratore di giustizia Vincenzo Scarantino (collaboratore forse costruito ad arte) a rendere false dichiarazioni.

La notizia era vera ma chi ha deciso il sequestro e la perquisizione a casa di Palazzolo molto probabilmente è interessato a sapere chi gliel’ha passata. Sempre ammesso che pubblicare notizie vere in Italia non stia diventando un reato, cosa peraltro non così improbabile visto l’alto livello di cose sempre più inutili, annacquate, taroccate o commissionate che passano su giornali e tv facendo moda e tendenza.

Forse la colpa di Palazzolo è proprio questa: non adagiarsi al vento dominante dell’informazione pilotata lasciandosi tranquillamente guidare verso la meritata pensione.

Le prove di questo suo anomala (!) interpretazione della professione giornalistica sono diverse e nell’ultimo periodo il suo lavoro si è focalizzato su due temi che definire pericolosi è poco: la nave Diciotti con 177 migranti bloccata nel porto di Catania, con l’accusa di sequestro di persona a carico del ministro Matteo Salvini, e l’arresto del presidente di Confindustria Sicilia Antonello Montante, paladino della nuova antimafia… indagato per reati di mafia dalla procura di Caltanisetta.

Qualche riga tratta dagli articoli pubblicati consente a tutti di apprezzare l’approccio e lo stile con i quali Palazzolo tratta detti argomenti. Scriveva Salvo il 26 agosto: “Sequestro di persona, arresto illegale, abuso d’ufficio: sono pesanti le contestazioni che il procuratore di Agrigento Luigi Patronaggio muove al ministro dell’Interno Matteo Salvini, da ieri pomeriggio ufficialmente indagato per il “mancato sbarco degli immigrati dal pattugliatore Umberto Diciotti”. Poche righe di comunicato, alle nove di sera, per spiegare che il fascicolo passa “doverosamente” al tribunale dei ministri di Palermo, mentre il dramma dei migranti sta per sbloccarsi.

Un’ora dopo, infatti, fonti del Viminale comunicano che le operazioni di sbarco inizieranno presto per tutti: prima tappa, un centro di accoglienza a Messina, poi da lì, alcuni andranno in comunità messe a disposizione dalla Chiesa italiana, altri partiranno per l’Albania e per l’Irlanda. Ma le parole di Salvini sono tutte per il procuratore di Agrigento: “Possono arrestare me, ma non la voglia di 60 milioni di italiani, indaghino chi vogliono”. E ancora, a muso duro: “Vergogna. È incredibile vivere in un Paese dove dieci giorni fa è crollato un ponte sotto il quale sono morte 43 persone e non c’è un indagato”.

Quattro giorni dopo, il 30 agosto, scrive ancora Palazzolo: “Si aggrava l’atto d’accusa del procuratore Luigi Patronaggio contro il ministro dell’Interno Matteo Salvini. L’ordine di bloccare i 177 migranti per dieci giorni sulla nave Diciotti ha fatto scattare altri due reati nel fascicolo che da sabato vede indagati il responsabile del Viminale e il suo capo di gabinetto. Non solo sequestro di persona, arresto illegale e abuso d’ufficio. Al vaglio della magistratura c’è anche il “sequestro di persona a scopo di coazione”: l’articolo 289 ter del codice penale cita chi vuole “costringere un terzo, sia questi uno Stato, un’organizzazione… a compiere un atto”. E’ punito “con la reclusione da 25 e 30 anni”, invece dei 10 del sequestro semplice. Nella ricostruzione della procura, Salvini ha tenuto in ostaggio 177 persone per costringere l’Unione Europea alla redistribuzione dei migranti contro la convenzione di Dublino. E poi c’è “l’omissione d’atti d’ufficio”, articolo 328, per la mancata risposta alla Guardia Costiera, che chiedeva il Pos (Place of Safety), il porto di sbarco dopo l’operazione di salvataggio”.

Nell’articolo seguono le spiegazioni dettagliate dei sette capi di accusa rivolti dalla procura al ministro Salvini. Dettagli importanti per capire, che presumibilmente la maggioranza degli italiani non conosce, mentre tutti hanno sentito sui TG nazionali il tam tam del commento di Salvini che fa riferimento a Genova. Ma cosa c’entra il ponte Morandi con la nave Diciotti?

L’altra vicenda sembra una storia locale ma non è meno importante per chi ha a cuore nel Paese i temi del rispetto della legalità e della corretta informazione. Antonello Calogero Montante venne indagato all’inizio del 2015 dalla procura di Caltanisetta per reati di mafia sebbene il suo fosse considerato uno dei volti nuovi dell’Italia che combatte i boss e il malaffare. Padrone di un “impero nato negli  anni Venti con una fabbrica di biciclette” e fondatore di una impresa di ammortizzatori industriali venduti in tutto il mondo, era presidente della Camera di Commercio di Caltanisetta, presidente degli industriali siciliani e delegato per la “legalità” di Confindustria nazionale.

I collaboratori di giustizia lo hanno incastrato e le perquisizioni di un anno dopo scoprono un bunker a casa sua dietro una parete segreta della camera da letto dove ci sono archivi segreti con dossier relativi a centinaia di personaggi importanti e un piccolo arsenale con fucili, carabine, pistole e munizioni. E’ accusato di concorso esterno ad associazione mafiosa ma nonostante questo resta presidente di Unioncamere Sicilia.

Salvo Palazzolo entra in scena nel maggio di quest’anno e rivela: “Montante, fondi neri per finanziare le campagne elettorali delle Regionali. Borse piene di soldi per Totò Cuffaro nel 2001”. Quel Cuffaro che vinse poi lo stesso anno le elezioni regionali in Sicilia e divenne senatore nel 2006 nonostante fosse già stato rinviato a giudizio per favoreggiamento alla mafia un anno prima. Palazzolo racconta gli affari di Montante anche con un altro presidente della regione Sicilia, Rosario Crocetta: “l’ex presidente della Regione siciliana è indagato per associazione a delinquere finalizzata alla corruzione e al finanziamento illecito. E’ accusato di aver messo in giunta due fedelissime di Montante, il paladino della legalità oggi agli arresti domiciliari per aver imbastito una centrale di spionaggio e affari”.

Il 24 maggio 2018 la notizia che Montante è arrestato e trasferito dai domiciliari in carcere  perché da casa lavorava ad inquinare le prove; il 27 luglio la notizia della nuova accusa di “concorso esterno in associazione a delinquere” rivolta dalla procura all’ex presidente del Senato Renato Schifani per avere “favorito” Montante e operato in accordo con lui nell’opera di spionaggio sulle operazioni della procura e della squadra mobile.

Palazzolo ha scoperchiato un pentolone in cui bollivano assieme personaggi eccellenti della scena politica nazionale, amministratori al top della regione Sicilia e personaggi collegati alle vecchie e nuove mafie.

Oggi si racconta che gli hanno perquisito la casa e sequestrato il cellulare perché ha dato una notizia con qualche ora o giorno d’anticipo.

Forse è così. O forse no.

A lui comunque va tutta la nostra solidarietà.

 

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