WHITE SBIADITA LIST
Paolo Bonacini, giornalista
L’8 febbraio scorso il Comune di Reggio Emilia informava di avere approvato il “Piano delle alienazioni e valorizzazioni immobiliari per il triennio 2018/2020”.
Si tratta di immobili e terreni messi in vendita sui quali l’ente pubblico chiede eventuali manifestazioni di interesse dai potenziali acquirenti. I giornali locali ne hanno dato notizia soffermandosi in particolare sulla Torre B del complesso dei Petali che circonda lo stadio Mapei; una costruzione di cinque piani finita all’esterno e grezza all’interno, frutto della complicata e ormai lontana trattativa tra l’amministrazione comunale di Antonella Spaggiari e l’allora patron della Reggiana Franco Dal Cin.
Tra i terreni in vendita c’è però anche un’area di valore economico assai più modesto della torre ma di particolare significato simbolico, sulla quale vale la pena soffermarsi. E’ un’area in via Croci, a Cella, di circa 8700 metri quadri, la cui destinazione urbanistica è “ambito agricolo periurbano”. Si tratta del terreno confinante con la ferrovia Milano Bologna su cui sorgeva il famoso maneggio abusivo di Pasquale Brescia, imputato al processo Aemilia per appartenenza all’associazione mafiosa della famiglia Grande Aracri. Di quell’area, formalmente intestata alla ditta Bre.Co.Gen. srl dei fratelli Brescia, il Comune di Reggio era entrato definitivamente in possesso nell’ottobre del 2016 quando il Consiglio di Stato aveva respinto i tre appelli presentati dalla ditta contro il sequestro. Il Comune, rappresentato in giudizio dall’avvocato Santo Gnoni, aveva ottenuto il terreno senza alcun onere, con anzi il riconoscimento di un indennizzo di 20mila euro per le spese legali sostenute nel lungo contenzioso.
La messa in vendita dell’area autorizza oggi alcune domande alle quali la Giunta Comunale potrà, se riterrà opportuno, rispondere.
Intanto il prezzo di vendita è fissato a 45mila euro. Lo si legge nella delibera del piano di alienazioni, approvata dalla Giunta il 21 novembre 2017 e resa immediatamente eseguibile due mesi e mezzo prima della diffusione della notizia. E’ vero che il prezzo è puramente indicativo, ma è vero anche che nel complessivo piano di alienazioni, che supera il valore di tre milioni e duecentomila euro, quel contributo è davvero poca cosa. L’ex maneggio non viene insomma venduto per fare cassa, anche perché l’operazione sarà certamente in perdita.
Il 27 dicembre infatti, un mese dopo la decisione di vendere, il Comune ha licenziato un bando di gara per la demolizione delle opere abusive e il rispristino dell’area verde di via Croci dove si trova il maneggio. L’importo complessivo offerto è di 137mila euro soggetti a ribasso d’asta.
Con il criterio del “minor prezzo” il bando è stato assegnato il 25 gennaio 2018 alla impresa PFC 2000 srl di Cologno al Serio, in provincia di Bergamo, che ha presentato una offerta al ribasso del 31,1%. Tra le 17 proposte ammesse è la richiesta minore sopra la soglia dell’anomalia che è fissata al 32%. Cinque imprese automaticamente escluse stavano sotto quella soglia, con offerte che arrivavano al 58,7% di ribasso sulla base d’asta.
Sono percentuali che fanno sinceramente venire i brividi, perché abbassare di così tanto l’importo per il quale si è disposti a lavorare potrebbe significare che il valore di base fissato dal Comune era squilibrato in eccesso. Oppure che i margini per ritagliarsi un utile si costruiranno abbattendo i costi d’impresa, del lavoro e della sicurezza, come troppe storie di Aemilia e di mafia ci hanno insegnato. Valgano per tutte le parole pronunciate in aula il 20 settembre scorso dal collaboratore di giustizia Salvatore Muto: “Spesso arrivavamo alla fine che c’era solo la nostra azienda a prendere l’appalto, e se c’erano altri noi potevamo fare offerte sempre più basse perché non versando l’Iva e pagando in nero i lavoratori siamo i più competitivi”.
L’aggiudicazione provvisoria alla PFC di Bergamo costerà in definitiva al Comune di Reggio un importo di 96mila euro Iva esclusa, che porta il saldo complessivo della operazione (bonifica più vendita del terreno) ad un risultato negativo per le casse comunali di 51mila euro, sempre Iva esclusa.
Quindi, riassumendo, quell’area per la quale l’ente locale tanto si è battuto, divenuta simbolo della lotta all’abusivismo e alla penetrazione mafiosa nei nostri territori, finirà per una cifra modesta in mani private che diranno grazie al Comune per la notevole spesa a cui l’Amministrazione Pubblica si è sobbarcata in loro vece (delle mani private).
C’erano alternative? Poteva essere gestita in modo diverso la storia del terreno di Cella? Assolutamente sì.
La proposta più credibile ed eticamente di grande spessore morale, oltre che a costo zero per l’ente pubblico, l’aveva lanciata il 16 marzo del 2015, circa tre anni fa la medesima Giunta di Reggio Emilia.
Nella seduta del Consiglio Comunale che si tenne quel giorno, rispondendo a una interpellanza del capogruppo Cinque Stelle Norberto Vaccari sul maneggio abusivo, l’assessore alla rigenerazione urbana e del territorio Alex Pratissoli diceva: “Vista la tipologia e la natura degli edifici insediati, baracche, stalle ed attrezzature varie per il ricovero degli animali, che tuttora si presentano in buono stato, l’Amministrazione procederà, attraverso una manifestazione di interesse pubblico approvata dalla Giunta Comunale, a raccogliere proposte di riutilizzo sociale dei beni acquisiti.”
Il riutilizzo sociale dei beni confiscati alle mafie: la strada maestra che dunque può valere anche per il maneggio dei fratelli Brescia. Ma l’assessore Pratissoli andava oltre in quella seduta: “Nelle prossime settimane verrà pertanto pubblicato un bando per raccogliere progetti di gestione dell’area e degli edifici acquisiti e, nel caso in cui si rilevi l’interesse pubblico nelle proposte avanzate per il recupero dei beni esistenti, si proporrà al Consiglio Comunale l’approvazione di una delibera a favore del mantenimento di tutte o parte delle opere realizzate e la successiva concessione dell’area. Le proposte dovranno essere formulate all’Amministrazione sotto forma di progetto preliminare di riuso dell’area ed avere, come detto, un evidente interesse pubblico. Con procedura ad evidenza pubblica verranno valutate le proposte pervenute e scelti i progetti più meritevoli.”
Proposta bellissima e coraggiosa, perché avanzata prima ancora della sentenza definitiva del Consiglio di Stato. Proposta che oggi avrebbe ancora più senso vista la certezza della titolarità del Comune.
Che fine ha fatto?
Non varrebbe la pena, prima di vendere la terra, tornare a parlarne, magari coinvolgendo cittadini e associazioni? Ha voglia l’assessore Pratissoli di riprendersi in mano le carte di quella proposta di allora, che immaginiamo concordata con il sindaco e la giunta? Non varrebbe la pena, prima di assegnare lavori di pura demolizione per oltre 100mila euro, riprovarci a costruire un progetto di riuso che magari faccia cavalcare domani in quelle piste bambini e reggiani onesti al posto dei mafiosi e dei funzionari pubblici collusi di ieri?
L’assegnazione dei lavori di demolizione è ancora provvisoria perché il Comune dovrà procedere alla verifica dei requisiti di legge richiesti alla ditta vincitrice. Almeno un atto è pubblico, l’iscrizione alla White List, ed abbiamo verificato che la ditta PFC 2000 srl compare negli appositi elenchi della Prefettura di Bergamo, aggiornati al 18 febbraio, per ben tre tipologie diverse di attività.
La White List è l’elenco dei fornitori, degli esecutori e dei prestatori d’opera, sia società di capitali che di persone, non soggetti a tentativi di infiltrazione mafiosa. L’iscrizione è volontaria e le domande vanno indirizzate alle Prefetture che effettuano gli opportuni controlli. L’iscrizione dura un anno e può essere rinnovata. Per restare alla lista della Prefettura di Bergamo diverse domande scadevano a fine 2017 e sono in corso di aggiornamento, come correttamente indicato nella White List. Tra le altre anche quelle della PFC srl che ha vinto l‘appalto a Villa Cella.
Tutto in regola e nulla di strano in quel di Bergamo.
Qualcosa di strano si nota invece nella White List di Reggio Emilia.
Le aziende iscritte sono 839 e di queste ben oltre la metà, 503 per la precisione, hanno il rinnovo in corso. Il problema però che riguarda Reggio è che le pratiche scadute delle imprese iscritte alla White List non si limitano agli ultimi mesi del 2017, come ad esempio a Bergamo, e come ci pare naturale in una procedura in costante aggiornamento.
Di quelle 503 pratiche in corso ben 189 sono relative ad imprese la cui iscrizione alla White List è scaduta prima del 31 dicembre 2016. Cinquanta aziende hanno l’iscrizione scaduta prima del dicembre 2015, oltre due anni fa, ma compaiono ancora nella lista con la dicitura: rinnovo in corso.
La prima domanda è scontata: ma quanto tempo ci vuole per sto rinnovo? La seconda pure: quando uno scorre la White List di Reggio Emilia, vede la fotografia reale delle imprese pulite che operano oggi nei settori delicati dell’edilizia, dei trasporti e del movimento terra, o sta guardando il passato, più meno come chi guarda la stella Proxima Centauri che ci mette quattro anni a farci arrivare i suoi raggi luminosi?
Delle imprese inserite nella White List di Reggio Emilia una la conosciamo bene: è Coopsette di Castelnovo Sotto, iscritta il 18 febbraio 2014 e tuttora indicata con la dicitura “rinnovo in corso”. Peccato che sia finita in liquidazione coatta il 30 ottobre 2015 schiacciata dai debiti. Non esiste più, White List reggiana a parte.
Per pura curiosità di paragone siamo andati a scuriosare la White List di Palermo, sul sito della Prefettura oggi guidata dall’ex prefetto di Reggio Antonella De Miro. Le imprese iscritte alla White List sono quasi 1800, più del doppio di quelle di Reggio Emilia. I rinnovi in corso con domande scadute da più di un anno una trentina; quelle precedenti al 2015 solo quattro.
Altro pianeta.
Eppure anche qui, non meno di là, sarebbe bene avere i dati in ordine. Aemilia ce ne ha insegnato l’importanza, non solo nell’aggiornamento delle White List ma anche nel complessivo campo della certificazione antimafia.
Meglio sbagliarsi in eccessivo scrupolo che in pericoloso lassismo.
SCRIVETECI! cgilrelegalita@er.cgil.it