FUOCO CRIMINALE

23 Giugno 2017

Paolo Bonacini, giornalista

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La ‘ndrangheta sulla riva mantovana del Po, così uguale e così vicina a quella reggiana. La racconta la giornalista della Gazzetta di Mantova Rossella Canadè in un libro fresco di stampa che segue l’inchiesta e il processo Pesci. Il 6 luglio a Gualtieri ne parleremo con l’autrice.

Un indicatore certo della infiltrazione mafiosa in un territorio è l’autocombustione. Chissà perché testimoni, vittime, imputati, quando debbono spiegare le cause di un incendio che ha distrutto un’auto di lusso o il tetto di una casa appena costruito, ricorrono spesso alla scusa dell’autocombustione, sperando che i carabinieri o i giudici ci caschino. E’ la “balla” più utilizzata ma è anche quella più incredibile, che alza subito nell’aria, per chi ha naso fino, odore di bugia, di paura, di intimidazione, di cose da nascondere. Il naso fino, o semplicemente il buonsenso, a Mantova ce l’ha il vigile del fuoco che dice sorridendo alla giornalista della Gazzetta Rossella Canadè, di fronte all’ennesima autocombustione di un’Audi: “Secondo te, le case automobilistiche sono in debacle totale che bruciano tutte le auto? Le fabbricano farlocche?”

No. Le auto sono fatte per non bruciare e normalmente non bruciano.

Comincia da questa semplice constatazione il libro di Rossella Canadè che ci racconta la storia mantovana dell’insediamento in pianta stabile della ‘ndrangheta nei nostri territori. Una storia che di là dal Po si chiama oggi “Processo Pesci”, troppo vicina e troppo simile alla nostra, quella del “Processo Aemilia”, perché qualcuno possa pensare che non ci riguardi. La storia di una terra, per usare una immagine efficace del libro, “che si è vantata per anni di avere gli anticorpi contro la mafia, e forte di questa illusione non si è mai misurata la febbre”.

A misurargliela, a scoprire che c’è una “temperatura da cavallo”, ci pensa questo racconto/resoconto, titolato “Fuoco criminale. La ‘ndrangheta nelle terre del Po: l’inchiesta”, uscito da poco in libreria con una prefazione di Enzo Ciconte.

Rossella Canadè ha il merito, nelle duecento pagine che ci accompagnano lungo i misfatti mantovani oggi a processo (o domani, come si conviene ad alcuni personaggi eccellenti della politica) di non fermarsi agli aspetti giudiziari del problema. Ci descrive e ci aiuta a comprendere anche, se non soprattutto, i risvolti umani, gli aspetti caratteriali, le implicazioni emotive che caratterizzano l’altra faccia della storia di ‘ndrangheta mantovana: quella unica e irripetibile di personaggi con nome, cognome e grado di moralità diversi, di paesi e comunità segnati con la firma indelebile degli enormi danni sociali ed economici prodotti dall’avidità dei criminali mescolata alla tolleranza e alla condiscendenza di “complici, codardi e cretini” (è la definizione di Nando Dalla Chiesa citata nel libro) che ai mafiosi si sono abbracciati o inchinati per interessi nient’affatto leciti e trasparenti.

Tre i “cattivi” che spiccano su tutti gli altri. Il primo è Antonio Muto, al quale l’appellativo di costruttore edile va stretto, se è vero che a Mantova “non si muove foglia che Muto non voglia”. Il cutrese di Curtatone è uno di quelli che quando il 21 settembre 2011 gli brucia l’Audi A5 nuova di zecca intestata alla società di famiglia dice alla stampa ridendo: “Macchè doloso, è stata autocombustione”. E’ stato assolto in primo grado al processo Pesci, ma ciò non impedisce alla Canadè di mettere in fila tutte le ombre che circondano le sue azioni e che fanno dire anche al giudice Vincenzo Nicolazzo: “Muto galleggia nella zona grigia in cui sfuma la differenza tra imprenditore colluso e imprenditore vittima”. Aggiungiamoci “imprenditore vendicativo” se è vero quanto scrive l’affarista impelagato con la ‘ndrangheta Paolo Signifredi in un controverso memoriale consegnato alla Direzione Antimafia. Il libro si sofferma a lungo su questo memoriale che coinvolge come ideatore e finto pentito (me nessuno gli crederà) il secondo dei cattivi, Antonio Rocca, detto King Kong, grezzo, violento e sedicente capo mantovano della ‘ndrangheta riconducibile a Nicolino Grande Aracri, in lotta perenne con Francesco Lamanna per il ruolo di leader sulla sponda sinistra del Po. Ma Rocca è quasi un personaggio di secondo piano in questa storia, dove l’intreccio tra amministrazione dei beni pubblici e affari sporchi, a seconda delle stagioni politiche, tiene in scacco e condiziona intere comunità locali. Basti ad esempio sapere cosa pensava Antonio Muto, stando al memoriale, dell’ex sindaco di Mantova Fioranza Brioni, l’unica, dice la Canadè, “a denunciare pubblicamente i suoi progetti poco chiari nonostante la melina del suo partito, il PD”. Le voleva tanto bene, racconta Signifredi, che nel 2008 incaricò due albanesi di recapitarle una dozzina di proiettili, e allo stesso Signifredi Muto disse in altra occasione: “Io sono disposto a pagare dei soldi basta che a quella puttana qualcuno gli faccia del male. Se trovi chi fa questo ti dico le sue abitudini, che già in Comune ho degli amici”.

Ce li avrà soprattutto dopo l’elezione di Nicola Sodano a sindaco di Mantova nel 2010. Il terzo cattivo per eccellenza, ruolo e potere (secondo la DDA) è lui, un calabrese di centro destra trapiantato al nord, che diventa primo cittadino di una capitale italiana della cultura facendo onore al detto di un giovane puledro della ‘ndrangheta: “Il mondo si divide in due: ciò che è Calabria e ciò che lo diventerà”. Per festeggiare la sua vittoria Muto organizza una grande festa, raccontata in carcere da Rocca, con fuochi d’artificio e colpi di pistola in aria, “alla faccia dei comunisti”. E sempre Muto, ci ricorda Rossella Canadè per completare il suo profilo psicologico e imprenditoriale, disse un’ora e mezzo dopo la seconda forte scossa del terremoto in Emilia Romagna il 29 maggio 2012: “Speriamo che arrivi la botta forte; se arrivasse almeno un minuto, un minuto ne fa di danni… Insomma, si crea lavoro”.

Lo hanno assolto.

Ma ciò non gli ha impedito di essere uno dei protagonisti (meglio dire il primo protagonista) di due vicende urbanistiche che faranno riflettere per decenni a venire la comunità mantovana. Nel libro Rossella le racconta con lo stile intrigante della scrittura noir colorita di dettagli psicologici e ambientali. Sono le storie del piazzale Mondadori in centro a Mantova e dell’immensa urbanizzazione Lagocastello che avrebbe dovuto sorgere sulla sponda sinistra del lago Inferiore di Mantova. Il primo è un cantiere infinito, dice Canadè, con un parcheggio sotterraneo e strutture alberghiere e commerciali che assorbono, anzi fanno letteralmente sparire, decine e decine di milioni di euro, quasi tutti provenienti dalle generose casse della banca Monte Paschi di Siena, nella cui sede di Rocca Salimbeni Muto è accolto con i tappeti rossi grazie ai buoni auspici dell’ex senatore reggianissino Franco Bonferroni, che forse un giorno si scoprirà essere stato il vero e nascosto Presidente della Repubblica Italiana nell’ultimo trentennio. Il secondo è una cosa che semplicemente non si può fare, perché i vincoli ambientali lo proibiscono. Ma il divieto non impedisce a Muto e al suo apparente portaborse, il sindaco Sodano, di provarci, grazie sempre a Bonferroni, ma anche all’altro reggianissimo UDC Tarcizio Zobbi, all’ex presidente del Consiglio di Stato Pasquale De Lise, all’ex senatore Luigi Grillo. C’è una riunione a Roma il 26 settembre 2012 che mette i brividi, perché cinque o sei persone, non di più, stanno cercando di cancellare gli effetti di una tutela paesaggistica che garantisce centinaia di migliaia di persone, non di meno: la comunità mantovana di riferimento. Non ci riusciranno, perché ancora anche in Italia qualche funzionario onesto dello Stato che dice “No” lo si trova, ma quante altre volte loro o altri ce l’hanno fatta? Senza che noi siamo venuti a sapere dell’enorme arbitrio illegale compito?

Perché lo fanno, uno si chiede. Per i soldi, naturalmente, e per il potere che i soldi garantiscono. Nel libro di Rossella Canadè qualche dettaglio c’è. Dalle due fatture di comodo per 52mila euro presentate da Bonferroni a Muto nel giro di pochi giorni (l’ex senatore le chiama “fatturine”) all’onorario di 185mila euro (ridotto per amicizia a 129mila) che lo studio dell’architetto/sindaco Sodano presenta al costruttore Muto per la riprogettazione di Lagocastello. Conflitto d’interessi? Ma no…

Si badi bene, questi non sono casi eclatanti perché “così fan tutti”, dicono i colpevoli che abbiamo già sentito e commentato più volte in merito alle vicende di Aemilia. E quando ad esempio si scopre che un assessore di Viadana, Carmine Tipaldi, è legato mani e piedi a personaggi impresentabili di Isola Capo Rizzuto dove comandano gli Arena, la reazione non è unanime e corale: metà PD, il partito di governo, lo vuole cacciare, ma un’altra fetta, “quella di stanza ai piani alti”, precisa Rossella Canadè, fa quadrato in difesa dell’assessore indifendibile. E’ una storia già vista, ad esempio a Finale Emilia e ad esempio a Brescello.

“Fuoco Criminale” ci racconta di prima mano, grazie al lavoro di una giornalista che ha seriamente seguito le indagini e il processo, il pezzo mantovano di questa storia. Un racconto che ha il pregio, prima o senza attendere che le sentenze stabiliscano la verità giudiziaria, di mettere davanti alle loro responsabilità, di fronte all’opinione pubblica, persone che hanno avuto il coraggio di dire, come il sindaco Nicola Sodano, quanto riportato in quarta di copertina del libro: “Io come sindaco e come architetto, per di più originario della Calabria, posso assicurare di non aver mai sentito il profumo della mafia”.

Il profumo forse no, l’odore di marcio certamente sì.

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