I GIUDICI DEI GIUDICI
Paolo Bonacini, giornalista
“La legge è uguale per tutti, ma per i politici è un tantino meno uguale”.
Chi non è d’accordo, chi non l’ha pensato almeno una volta, alzi la mano. Io la tengo giù perché in molte occasioni, non solo una, mi sono chiesto in base a quale dispositivo di legge (che consenta di violare il principio di uguaglianza tra tutti i cittadini) chi fa politica si può permettere di dire, fare e commentare usando forme e contenuti agli altri negati. Con l’aggravante che spesso questa libertà d’azione e di parola si rivolta proprio contro le istituzioni e i poteri democratici da cui la politica e i politici stessi traggono legittimazione. E con l’ulteriore aggravante che a questo andazzo ci siamo assuefatti e quasi nessuno più protesta o si indigna.
Solo poche settimane fa, ad aprile, sul processo Aemilia sono piombati gli avvisi di garanzia inviati dalla Direzione Antimafia al senatore Carlo Giovanardi e al capo di gabinetto della prefettura di Modena Mario Ventura. Entrambi protagonisti, secondo l’accusa, di una campagna che mirava ad aggredire le interdittive antimafia e ad ottenere l’iscrizione alla White List di imprese amiche escluse dalle autorità competenti. Giovanardi non ha mai nascosto il proprio dissenso sul potere attribuito per legge ai prefetti; l’ha spesso anzi manifestato per accusare sia le norma che gli stessi prefetti, gettando dubbi a piene mani sul loro operato ed esprimendo solidarietà alle imprese colpite. Il dott. Ventura ha dichiarato ai magistrati, secondo quanto riportato da L’Espresso il 10 aprile 2017, che Giovanardi “era un martello pneumatico” per le pressioni continue che esercitava in prefettura a Modena al fine di ottenere la riabilitazione della Bianchini Costruzioni srl, il cui titolare è oggi imputato in Aemilia assieme a moglie e figli. Pressioni che si spingevano ad ipotizzare per i due prefetti modenesi Benedetto Basile e Michele Di Bari trasferimenti indesiderati ad altra sede od incarico. Secondo Giovanardi questo pressing “rientra nelle prerogative di un parlamentare”, a tutela del territorio e per cambiare una legge definita “inefficiente e pericolosa”. Ma le leggi si cambiano in Parlamento, e fino a quando non si cambiano il dovere di tutti è applicarle e rispettarle. Giovanardi invece si era erto a giudice della legge e dei suoi giudici naturali, i prefetti, senza esserlo: c’è chi la vede come libertà di parola e d’opinione di un parlamentare, ma c’è anche chi la vede come “rivelazione di segreti d’ufficio, violenza o minacce ad un corpo politico, amministrativo o giudiziario dello Stato, con l’aggravante del metodo mafioso” come dice l’avviso di garanzia.
C’è però un caso ancora più recente, al processo Aemilia, che offre spunti sulla libertà di accusa e di giudizio che si autoattribuiscono i politici (specie quando sono accusati o in attesa di giudizio). E’ quello dell’imputato Giuseppe Pagliani, attuale capogruppo di Forza Italia in consiglio comunale a Reggio, capogruppo in Provincia del PDL nel 2012 all’epoca dei fatti che la Direzione Antimafia gli contesta. La sentenza di primo grado del rito abbreviato, come ampiamente scritto (nell’articolo: “Il malsano patto politico” del 15 dicembre 2016), lo ha assolto dall’accusa di “avere concretamente contribuito, pur senza farne formalmente parte, al rafforzamento e alla realizzazione degli scopi della associazione mafiosa” operante a Reggio Emilia. Ma nel processo d’appello in corso di svolgimento a Bologna i procuratori Umberto Palma e Nicola Proto sono tornati alla carica, chiedendo otto anni di carcere per Pagliani con l’accusa di concorso esterno in associazione mafiosa ed in subordine con l’accusa di corruzione e di scambio elettorale politico mafioso.
La richiesta è ovvia e scontata, perché l’appello su Pagliani lo ha voluto la Direzione Distrettuale Antimafia insoddisfatta dell’assoluzione in primo grado. E’ inoltre una richiesta inferiore a quella del primo grado (dodici anni) e basata anche sulle nuove dichiarazioni rese in aula a Reggio Emilia del collaboratore di giustizia Giuseppe Giglio (i verbali sono stati acquisiti a Bologna). Riferendosi all’incontro riservato con Pagliani del 2 marzo 2012 nell’ufficio di Nicolino Sarcone, e poi alla successiva cena del 21 marzo al ristorante di Pasquale Brescia “Gli antichi sapori”, dice Giglio il 13 dicembre 2016 rispondendo in diretta al presidente del tribunale Francesco Maria Caruso: “Floro Vito Giuseppe e Michele Colacino erano contenti. Mi hanno detto che le prospettive sono buone, l’impegno di Pagliani è serio. Lui doveva intervenire su una persona molto in alto”. L’obbiettivo era lo stesso di Giovanardi: togliere le interdittive alle aziende colpite, in questo caso dal prefetto di Reggio Antonella De Miro. In cambio: voti e sostegno politico.
Reazioni alla nuova richiesta di condanna? Altroché.
Tutte a senso unico e morigerate nei termini, tipo quelli riportati in diversi titoli di giornale: “Continua il martirio di un innocente”. La frase è dello stesso Giuseppe Pagliani che difende legittimamente sé stesso; la legislazione italiana consente all’imputato persino il diritto di dire il falso in propria difesa, purché non sconfini nel reato di calunnia verso terzi. E le dichiarazioni del capogruppo di Forza Italia non sono, a naso, molto lontane da questo confine: “Si continua da anni nella persecuzione di un innocente. Vedo che la Procura in appello ha diminuito di un terzo la richiesta di pena attenuando, ma non eliminando, la follia della richiesta di primo grado. Permane il protrarsi di una palese violenza nei miei confronti che in 25 anni non mi è mai occorso di vedere nei confronti di nessun altro esponente politico locale”.
Riassumendo, la Procura Distrettuale Antimafia, che esercita il diritto/dovere della pubblica accusa (in rappresentanza dello Stato), avrebbe commesso “violenza”, agito con “follia” e “perseguito con ostinazione un innocente”.
Pagliani è comunque il diretto interessato e i suoi toni sopra le righe hanno di conseguenza una giustificazione. I commenti di altri politici, viene da chiedersi e da pensare, saranno invece più cauti e sobri, come si conviene a rappresentanti di partiti che riconoscono lo Stato di Diritto e la legittimità dell’azione penale?
Sbagliato.
Dice Maurizio Gasparri, vicepresidente del Senato, il 12 giugno 2017: “Resto sconcertato di fronte a magistrati che, invece di indagare i veri colpevoli della sinistra, se la prendono con gente perbene”.
Il parlamentare di Forza Italia è sicuro: “Pagliani è evidentemente estraneo a qualsiasi comportamento illegale. E’ veramente inquietante quello che accade e dovrò richiamare le massime autorità della Repubblica perché è intollerabile questo show politico condotto ai danni di una persona onesta come Pagliani”.
Gli fa eco il coordinatore regionale di Forza Italia, on. Massimo Palmizio: “Mi domando il perché di un simile atteggiamento persecutorio della Procura della Repubblica”.
Poi arriva il coordinatore provinciale Gianluca Nicolini: “Mi domando come si possano chiedere otto anni di carcere per una persona innocente. Come si fa a non credere che dietro l’accanimento giudiziario subito dall’avvocato Pagliani non vi sia un movente politico” (qualcuno spieghi a Nicolini che in questo caso la doppia negazione afferma).
E per ultimi un consigliere comunale a Reggio, Nicolas Caccavo: “Infamia senza precedenti; si nascondono le colpe di chi queste terre le ha governate per oltre settant’anni”, e un consigliere comunale a Modena, Andrea Galli: “Dopo una prima richiesta abnorme di condanna l’accusa continua pervicacemente nelle sue richieste”.
Rileggetevi queste dichiarazioni con calma; lo meritano.
Se anche solo metà delle accuse e delle affermazioni di chi le ha pronunciate (e uno di loro è vicepresidente del Senato!) fossero vere, bisognerebbe arrestare i pubblici ministeri del processo Aemilia per attentato all’ordinamento democratico e alla Costituzione.
Ora l’ultima domanda, la più impegnativa: si è alzata qualche voce indignata, magari di politici appartenenti ad altri partiti, per denunciare l’inaccettabile arbitrio di chi si sostituisce agli organi inquirenti e giudicanti, gettando fango e sputando sentenze di condanna verso chi lavora per tutelare la legalità?
Che io sappia, almeno fino ad oggi, no. Ma potrei sbagliarmi.
Se esiste ancora qualche politico che ritiene sia giusto lasciare i processi nelle sedi deputate, i tribunali, si faccia per favore avanti. Oppure dovremo nostro malgrado prendere atto che tutta la politica ama ergersi a giudice dei giudici, non solo gli amici intimi di Pagliani.
SCRIVETECI! cgilrelegalita@er.cgil.it