RIPRENDIAMOCI I NOSTRI BENI

22 Marzo 2019

di Paolo Bonacini, giornalista

LAMBORGHINI GALLARDO

Lunedì 25 marzo alle ore 15, presso il Tribunale di Reggio Emilia, verrà firmato il protocollo d’intesa per la gestione dei beni sequestrati e confiscati di cui è competente lo stesso Palazzo di Giustizia. Un analogo protocollo venne firmato a Bologna l’8 settembre 2017 e anche in quel caso si associarono al Tribunale organizzazioni sindacali, imprenditoriali, enti pubblici e associazioni antimafia, con gli obbiettivi comuni di accelerare i tempi di assegnazione dei beni, salvaguardare le possibilità di mercato delle imprese, tutelare i diritti dei creditori e in primo luogo dei lavoratori.

Entrambi i protocolli fanno riferimento, in particolare, ad un patrimonio intrecciato di beni mobili e immobili sottratti alla ‘ndrangheta emiliana con l’operazione e col processo Aemilia, parte dei quali già soggetti a confisca definitiva dopo la sentenza di Cassazione del 25 ottobre scorso. La confisca di primo grado del 31 ottobre, con la successiva sentenza del processo di Reggio Emilia, ha ulteriormente allargato l’insieme dei beni che ora possono essere restituiti alla comunità attraverso le opportune azioni di assegnazione. Agevolare queste procedure, spesso complesse e farraginose, con indirizzi ed obbiettivi chiari e condivisi, può essere la chiave vincente per la salvaguardia della potenzialità delle imprese e per il reale riutilizzo sociale dei beni immobili confiscati. Da qui l’importanza del protocollo.

Ma in attesa della firma e della condivisione dei suoi contenuti, una domanda fondamentale per comprenderne la portata è: quanti (e quali) beni sono stati sequestrati e confiscati alla cosca Grande Aracri/Sarcone con il processo Aemilia? Il valore complessivo, approssimato, è piuttosto consistente: dai 400 ai 500 milioni di euro. Ma questo è un numero che, per quanto grande sia, rende difficile percepire la vastità delle cose (imprese, capannoni, appartamenti, auto, camion, terre coltivabili, ecc.) che la ‘ndrangheta si era portata via sottraendole in modo illecito alla comunità locale e della quale possiamo e dobbiamo rientrare in possesso.

Le due sentenze di ottobre contengono nella parte finale l’elenco dettagliato di questi beni, la loro collocazione geografica e le persone condannate (o le loro società) dalle quali sono stati recuperati.

Si tratta nell’insieme, tra confische definitive e di primo grado (i beni richiamati in entrambe le sentenze sono considerati una volta sola) di un pacchetto (anzi, di un pacco assai grosso) di 513 beni, così suddivisi: 63 società, in prevalenza srl, 214 immobili, appartamenti e garage, 104 terreni e 152 beni mobili tra auto, camion, moto e macchine operatrici per l’edilizia. I numeri possono sbagliare di qualche unità per alcune approssimazioni ma l’ordine di grandezza è veritiero e ci dice quanto fosse profondo il radicamento. I dati dell’Agenzia Nazionale per l’Amministrazione e la Gestione dei Beni (ANBSC) ci dicono che a marzo 2019 in Emilia Romagna le aziende in gestione dell’Agenzia sono complessivamente 96, mentre i beni immobili (terreni più fabbricati) sono 627. Ne consegue che due terzi delle società confiscate o sequestrate in regione e più della metà dei beni immobili arrivano dal processo Aemilia.

I rami prevalenti di attività societaria sono l’edilizia, le costruzioni, il trasporto e la movimentazione degli inerti, il settore immobiliare, la ristorazione e il commercio di alimenti. Nella rete dei titolari, direttamente o indirettamente, i nomi che più ritornano sono quelli di Giuseppe Giglio, Alfonso Diletto e dei fratelli Vertinelli. 11 delle società confiscate hanno sede a Montecchio, 8 in provincia di Parma, 6 a Reggio Emilia e altrettante a Crotone, 3 a Brescello come a Cadelbosco Sopra.

Al collaboratore di giustizia Giuseppe Giglio, per inciso, non è stato confiscato tutto il patrimonio, se è vero quanto scritto negli atti dell’inchiesta. Risultava essere direttamente o indirettamente, negli stessi anni in cui la sua famiglia dichiarava zero al fisco, il reale proprietario di 16 immobili intestati a persone, di 229 immobili intestati a società, di 10 società, di 39 polizze assicurative e, dulcis in fundo, di 1008 conti correnti bancari aperti in 59 diversi istituti di credito.

Tra gli immobili confiscati spiccano i 129 appartamenti di Sorbolo e i 22 di Reggiolo intestati a diverse società immobiliari riconducibili a Giuseppe Giglio e Giuseppe Pallone, ma anche la famiglia dell’imprenditore modenese Augusto Bianchini è colpita con 5 confische nel modenese e 4 a Bologna. In provincia di Reggio 8 immobili sono a Montecchio, 6 a Cadelbosco Sopra, 4 a Gualtieri, 3 in città, 2 a Brescello. Fuori regione confiscati anche 11 immobili a Crotone, 7 a Parma e altrettanti a Mantova, 2 a Verona e uno pure a Massa Carrara.

Sul versante terreni la parte del leone la fa la famiglia di Bianchini Augusto. Tra lui e la moglie Bruna Braga erano proprietari di 47 aree confiscate nei comuni di San Felice sul Panaro (MO), Finale Emilia (MO) e Sermide (MN), per una superficie complessiva di 44 ettari: tanto quanto l’intera pista di atterraggio del Campovolo di Reggio Emilia. Complessivamente ammontano a 62 ettari e 40 are le terre confiscate: messe assieme configurano una piccola città. Al confronto i 152 automezzi, per un valore complessivo stimabile in 2 milioni di euro, sembrano poca cosa. A chi andranno quelle BMW da 60mila euro, e la Lamborghini Gallardo da 100mila di cui a goderne era Michele Bolognino, è presto per saperlo.

Ma che torni tutto alla comunità scippata, e il più in fretta possibile, è doveroso. Speriamo che il protocollo di lunedì in Tribunale aiuti a percorrere questa strada.

 

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