MAFIA A BRESCELLO, LA FORZA DELLA DENUNCIA

25 Settembre 2019

di Paolo Bonacini, giornalista

I-RE-Brescello3

Un cittadino che denuncia un’estorsione; che racconta alla Polizia le botte e le intimidazioni subite; le minacce per  convincerlo a vendere la licenza di un bar a Parma alle “persone giuste” e al “prezzo giusto”. Poi anche per riportarlo a miti consigli quando da dipendente dello stesso bar pretendeva pure di essere pagato per il lavoro che svolgeva. E’ una nuova storia che emerge a Brescello, comune già commissariato per mafia nel 2016, con quattro indagati e due nuovi arresti. L’operazione della DDA di Bologna è una costola dell’indagine Grimilde, che nel giugno di quest’anno ha portato dietro le sbarre su decisione del giudice Ziroldi 11 dei 76 accusati, per una cinquantina di reati che vanno dall’associazione mafiosa alla corruzione, dalle minacce alla calunnia, con il sottofondo di una miriade di intestazioni fittizie di beni, società, carte di credito e conti correnti postali e bancari.

A guidare le operazioni è sempre la famiglia di ‘ndrangheta Grande Aracri: il nuovo arresto coinvolge Paolo, 29enne figlio di Francesco, uno dei tanti fratelli del boss Nicolino che ancora vivono sulle sponde del Po. Era già in carcere da giugno assieme al padre dopo la misura cautelare della prima sentenza di Grimilde. Ai domiciliari era invece l’altro arrestato, Manuel Conte, nato a Viadana 28 anni fa e residente sempre a Brescello, considerato dalla Procura il braccio violento del sodalizio, che aveva picchiato, minacciato e umiliato il titolare del bar “Da Max”, in centro a Parma, per costringerlo a cedere il locale. È stato il racconto dettagliato della vittima a consentire agli inquirenti di ricostruire con precisione l’accaduto e la sentenza del giudice per le indagini preliminari mette a fuoco il valore di questa confessione che ha fatto emergere “intimidazioni, violenze e vessazioni psicologiche” sconosciute alle indagini precedenti.

Il titolare voleva vendere il locale e si era accordato per 45mila euro con una coppia residente a Brescello: Salvatore Frijio e Simona Dima. Quando si fanno avanti Paolo Grande Aracri e Manuel Conte, Frijio si ritira nonostante avesse già pagato una caparra per il bar e il racconto del proprietario non lascia dubbi: “Paolo e Frijio si sono parlati, lo hanno fatto davanti a me. Paolo era molto categorico: il bar lo acquistava lui e ho potuto notare che Frijio manteneva un atteggiamento dimesso”.  Paolo gli intimò di non rivelare mai il cognome Grande Aracri, perché lui era “il nipote di un boss soprannominato Gommino, che aveva avuto dei sequestri” e che non si voleva esporre. Il riferimento a Nicolino Mano di Gomma è chiaro e sufficiente per incutere timore.

Massimo, il vecchio proprietario, vende così il bar a Grande Aracri e Conte nel febbraio 2018, ma non riceverà mai un soldo e per lui inizieranno i dolori. Dal notaio si presenta un prestanome, Daniele Soncini (indagato assieme alla commercialista Monica Pasini che cura la pratica), e l’atto viene firmato per 10mila euro senza garanzie. È solo un quarto dell’accordo iniziale, ma questi soldi Massimo non li vedrà mai, come non vedrà il proprio compenso da dipendente per il lavoro che continua a svolgere nel bar: “Il pagamento non è mai avvenuto. Dopo alcune mie richieste ho ricevuto delle minacce soprattutto da Conte Manuel, il quale mi ha colpito a schiaffi davanti ad una mia ex dipendente. Una volta mi ha dato un pugno che mi fece sanguinare il naso, perché non facevo le cose che voleva lui, altre volte perché non tornavano i conti della cassa del bar. Una volta ricordo che mi ha spogliato dei vestiti che indossavo per controllare che non nascondessi dei soldi. Manuel era sempre molto violento, faceva sempre minacce e mi perseguitava. A volte prendeva la mia Fiat Multipla e girava per le zone a traffico limitato prendendo multe che poi io pagavo. Un’altra volta, con la sua auto ammaccata, urtò la mia macchina per ripararla con la mia assicurazione. Paolo Grande Aracri assisteva sempre a queste violenze ma non se ne preoccupava. Tra i due c’era molta intesa, c’era una forte complicità. Solo ora posso capire il loro atteggiamento nei miei confronti e i raggiri che ho subito.”

Nella selva di reati e di false intestazioni che costellano le attività di ‘ndrangheta in Emilia Romagna, con uno degli epicentri a Brescello, questa storia del bar “Da Max Coffe and Food” di Parma è piccola cosa, ma il valore della denuncia e della testimonianza di Massimo è elevato.

Il comandante della Squadra Mobile di Bologna dott. Luca Armeni, che ha condotto le indagini sotto il coordinamento del sostituto procuratore antimafia Beatrice Ronchi, ne sottolinea l’importanza e l’esempio: “Grimilde ha dato un duro colpo alla cosca operativa a Brescello. Chi ha subito intimidazioni e violenze può parlare sapendo che le Forze di Sicurezza sono in grado di garantire protezione, tutela, capacità e rapidità d’intervento. I capi sono in carcere e l’esempio di Massimo ci dice che la consapevolezza e il coraggio nella denuncia di soprusi e atti illeciti sono fondamentali per il contrasto alle prevaricazioni mafiose e per il ripristino della legalità. L’auspicio è sempre che non ci siano altri reati ancora da disvelare; ma se ci sono, la speranza è che siano anche e sempre più i cittadini ad aiutarci a farli emergere”.

Nella sentenza del processo Aemilia viene indicato come un valore l’appello che l’allora presidente della provincia Sonia Masini lanciò nel 2012 alla comunità meridionale, e fino a prova contraria onesta, residente a Reggio Emilia: “Cutresi, parlate”.

La Procura Antimafia e le Forze di Polizia oggi allargano quell’appello: “Brescellesi e reggiani, parlate. Noi saremo al vostro fianco”.

 

SCRIVETECI! cgilrelegalita@er.cgil.it

Altezza righe+- ADim. carattere+- Stampa

Cerca in archivio per parola chiave

Archivi