LO STATO DELL’ARTE SECONDO LA “DIA”
di Paolo Bonacini, giornalista
La Dia è la Direzione Investigativa Antimafia, una agenzia concepita nel 1991 da Giovanni Falcone per affiancare la magistratura antimafia nelle indagini più delicate e complesse. E’ composta da personale specializzato di provenienza interforze (Carabinieri, Polizia, Guardia di Finanza) e svolge investigazioni preventive e indagini di polizia giudiziaria riferite esclusivamente a delitti di associazione mafiosa. Attuale direttore della Dia è il generale dei Carabinieri Giuseppe Governale. Sul futuro della Dia ci sono opinioni diverse tra gli esperti della materia. Il Procuratore della Repubblica di Catanzaro Nicola Gratteri ha proposto recentemente di scioglierla per fare tornare ai Corpi di appartenenza gli agenti specializzati nella lotta alla mafia e risolvere così il cronico problema del personale investigativo insufficiente. Gli replicano l’attuale Procuratore Nazionale Antimafia Federico Cafiero de Raho e il suo predecessore Franco Roberti: sarebbe un errore, perché la Dia è una agenzia interforze che raccoglie gli uomini più qualificati per sviluppare una capacità investigativa superiore. Va valorizzata e non annientata.
Al fondo della divergenza di opinioni c’è il dato preoccupante delle risorse mancanti, sia in termini di uomini che di soldi e mezzi, e se lo Stato, anziché costringere i suoi Corpi a contendersi le forze migliori, risolvesse all’origine il problema della coperta corta nella lotta al crimine, forse sarebbe più facile per i Procuratori andare d’accordo.
Ciò detto la Dia è ancora oggi viva e vegeta ed ha recentemente licenziato la sua ultima relazione semestrale, quella relativa al periodo gennaio giugno 2018, che ci consente di apprezzare numeri e sviluppi della lotta alla criminalità organizzata di stampo mafioso nel paese.
Concentriamoci sulla ‘ndrangheta e in particolare sulla cosca Grande Aracri per smorzare eventuali dosi eccessive di ottimismo dopo le recenti sentenze del processo Aemilia. Nel capoluogo di regione (Catanzaro) “La cosca cutrese dei Grande Aracri continua la propria ingombrante influenza attraverso il locale di Cutro”. Mentre in provincia di Crotone essa “Rappresenta la compagine criminale di riferimento anche per le altre Famiglie dell’area, potendo contare, peraltro, su consolidate alleanze con le cosche della provincia di Reggio Calabria”.
La cosca insomma è ancora ben impiantata ed anzi sembra espandersi, nonostante alcuni duri colpi ricevuti nel 2018 dall’azione preventiva e repressiva di magistratura e forze di polizia. In particolare due ordinanze dei Tribunali di Catanzaro e di Crotone hanno consentito il sequestro e la confisca di beni a due importanti imprenditori: Pasquale Gianfranco Barberio, che ha rilevanti interessi nel settore turistico alberghiero, e Salvatore Scarpino, arrestato nell’operazione Kiterion, specializzato nella lavorazione del legname. Entrambi sono considerati socialmente pericolosi e strettamente collegati ai Grande Aracri di Cutro. Secondo il Tribunale di Catanzaro Nicolino Grande Aracri nel 2000, prima di essere arrestato, aveva affidato a Barberio un gruzzolo non indifferente, un miliardo e mezzo di lire, mentre grazie a Scarpino sarebbe entrato in contatto con ambienti istituzionali attraverso personaggi di ordini massonici e cavalierati.
Sempre lo scorso anno sono emersi nuovi collegamenti tra la ‘ndrangheta calabrese e le altre due grandi organizzazioni mafiose del paese, Camorra e Cosa Nostra, passando dall’Emilia Romagna. La cosca crotonese dei Farao Marincola, che secondo la Procura Antimafia operava anche a Parma attraverso l’imprenditore Franco Gigliotti, aveva come riferimento in Campania un imprenditore edile titolare di alcune società raggiunte da provvedimenti interdittivi della Prefettura di Caserta. Mentre un’interdittiva della Prefettura di Palermo ha riguardato un’impresa operante nella fornitura e nel trasporto di materiali inerti che secondo la DIA partecipava ad un cartello di imprese legate alla cosca di ‘ndrangheta Piromalli di Gioia Tauro.
Tutte queste attività, dice la DIA, finivano per alterare le gare degli appalti pubblici condizionando anche il buon andamento degli Enti Locali. Il risultato è che sette Consigli Comunali sono stati sciolti in Calabria nel primo semestre 2018.
In Emilia Romagna, sempre secondo la Direzione Investigativa Antimafia, non ci facciamo mancare nulla. Molto attivi sono gruppi criminali stranieri: i maghrebini nel traffico e nello spaccio di droghe (in collaborazione con italiani), la criminalità albanese nello sfruttamento della prostituzione (oltre che nell’immancabile narcotraffico), i gruppi rumeni e dell’est Europa nello sfruttamento di giovani immigrati e nei furti in appartamento. Completano il quadro internazionale la criminalità nigeriana (droga e prostituzione, abusivismo commerciale) e quella di matrice cinese attiva soprattutto, ahinoi, nelle province di Reggio Emilia, Ferrara e Rimini, dove favorisce l’immigrazione clandestina, la prostituzione e il ricorso alla manodopera irregolare.
Tornando alla ‘ndrangheta, in regione le Famiglie sono ben distribuite e “mettono in atto con pervicacia un grave processo di commistione con l’imprenditoria”. Aggiunge la relazione: “Tra le mafie nazionali, la ‘ndrangheta ha adottato in questa regione un approccio marcatamente imprenditoriale, prediligendo l’infiltrazione sia del tessuto economico produttivo sia delle amministrazioni locali, aggredendo il territorio, non attraverso il predominio militare, ma orientandosi alla corruttela e alla ricerca delle connivenze, funzionali ad una rapida acquisizione di risorse e posizioni di privilegio”. Aemilia ce l’ha dimostrato.
La cosca più radicata in regione è naturalmente quella dei Grande Aracri, che opera nel contesto produttivo e imprenditoriale di Bologna e delle province di Reggio Emilia, Modena, Parma e Piacenza. La DIA riporta una dichiarazione del collaboratore di giustizia Antonio Valerio secondo il quale “dal 2000 al 2006, con i soldi che sono entrati dal nord, la cosca Grande Aracri poteva dare fastidio al PIL italiano. I soldi scendevano nei camion come balle… ha presente le balle di fieno?”.
Tra le altre cosche calabresi che operano in regione, dopo aver sottolineato la conquistata autonomia della Famiglia di Nicolino Sarcone, la DIA indica i Mazzaferro a Ravenna nel gioco d’azzardo, i Bellocco di Rosarno nell’estorsione, i già citati Farao Marincola nella metalmeccanica a Parma, i Pesce Bellocco a Ferrara, i Condello, De Stefano, Mancuso a Forlì e Cesena, personaggi della cosca Vrenna a Rimini, i sempre eterni Arena a Modena e Parma, un redivivo gruppo Dragone a Reggio Emilia.
Si conferma in regione la presenza di diverse Famiglie di Casalesi (camorra), mentre per quanto riguarda Cosa Nostra, conclude la DIA, “negli ultimi anni non sono emerse risultanze investigative che abbiano fatto emergere un’operatività strutturata. In passato sono state registrate presenze di esponenti dei Portanuova di Villabate (Palermo), delle famiglie del quartiere palermitano di Brancaccio e dei Corleonesi. Di recente invece sono stati accertati fenomeni delittuosi riconducibili ad esponenti della famiglia Rinzivillo di Gela, in provincia di Caltanisetta, alleata con i Madonia e già attiva nel milanese e a Busto Arsizio.
Chiudiamo con un numero: tra investigazioni preventive e azioni giudiziarie sono stati sequestrati e confiscati beni alla ‘ndrangheta nel primo semestre per quasi 200 milioni di euro.
La lotta continua.
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