GASOLIO… E ALTRA MERCANZIA

6 Maggio 2019

di Paolo Bonacini, giornalista

GASOLIO

Il primo aprile scorso i giornali di Reggio Emilia diffondevano la notizia di un cittadino albanese di 40 anni, residente a Brescello, arrestato dai carabinieri sulla base di un mandato di cattura internazionale. Si trattava di una guardia giurata, accusata di avere rubato nel 2013 230 litri di petrolio da una impresa albanese. Il mandato di arresto del Tribunale di Fier, cittadina con importanti siti archeologici a 15 chilometri dalla costa, risaliva al 2015.

Il dubbio che si trattasse di un pesce d’aprile a qualcuno sarà venuto leggendo il valore complessivo della merce rubata: 70 euro. Un po’ poco per un criminale ricercato in tutta Europa. Ma la notizia è vera, e che la guardia giurata albanese, dopo aver in qualche modo risucchiato  di notte quei 230 litri di petrolio da un pozzo, se li sia portati via e sia finito a vivere a Brescello, stimola la rilettura dei verbali di Aemilia

I traffici di gasolio rubato erano molto redditizi, dicono gli atti del processo, e per grandi volumi: decine e decine di migliaia di litri. Racconta Francesco Falbo, costruttore coinvolto nell’affare degli appartamenti di Sorbolo, che Giuseppe Giglio lo voleva in parte pagare col gasolio: “Ogni settimana mi portava una cisterna di gasolio; e ‘sto gasolio da dove arriva?”

Gli rispondeva Giglio “Non ti preoccupare; ti facciamo un venti per cento di sconto, il trenta per cento”.

Replicava Falbo: “Io non lo voglio il tuo gasolio, poi che cazzo me ne faccio, che non lo scarico dalle tasse? Ma lui girava con ‘sto gasolio, mandava questo albanese qua e mi portava, non so, venti quintali di roba”.

E Giuseppe Giglio concludeva la conversazione con un messaggio tra l’allettante e il minaccioso: “O li vuoi o non li vuoi, te li prendi con il trenta per cento di sconto, e naturalmente non paghi l’Iva perché non c’è fattura”.

Di traffici illeciti di nafta e gasolio hanno risposto al processo, venendo condannati, Giuseppe Giglio, Giuseppe Richichi, Michele e Sergio Bolognino. Il rinvio a giudizio parla di furti compiuti in provincia di Reggio e di Mantova, con il coinvolgimento di personaggi napoletani, ma le dichiarazioni dei collaboratori allargano il ventaglio sia delle persone coinvolte che dei luoghi di provenienza della merce.

E’ il loquace Antonio Valerio a sintetizzare al meglio il business quando dice nel giugno 2017 ai procuratori Mescolini e Ronchi: “Il gasolio è un mondo”.

Per la ricettazione delle merci rubate, che fossero pelli, vini o gasolio, dice il collaboratore, si doveva passare attraverso una sorta di triumvirato composto da Nicolino Sarcone, Peppe Sarcone e Antonio Silipo detto O Pili Rusu: “Non si prendevano decisioni se non erano tutti e tre d’accordo”. Aggiunge però, a proposito di un affare da 30mila euro di combustibile con la Polonia, che c’erano di mezzo anche Carmine Sarcone e il capo di Brescello Alfonso Diletto.

Valerio spiega alla sua maniera che “ci sono tanti tipi di gasolio. C’è quello vampirizzato, c’è quello risucchiato, c’è la nafta industriale, c’è l’olio tecnico che è un tipo di gasolio che non si trova”. Per concludere: “Il gasolio era un mondo veramente bello”.

Ma cos’è il gasolio vampirizzato? Il collaboratore di giustizia lo spiega mentre parla di uno dei tanti capannoni per le merci che la ‘ndrangheta gestiva attraverso Sergio (presumibilmente Eugenio) a Villarotta di Luzzara, dove veniva stipato di tutto prima di essere rivenduto: dai formaggi ai quad, dalle motorette alle motoseghe, dai tosaerba alle immancabili armi. Ed anche il gasolio vampirizzato, appunto, che arrivava dall’estero: “Vampirizzato vuol dire che c’erano degli albanesi che avevano un sistema che andavano a risucchiare il gasolio dalle cisterne dei vari depositi. Usavano un Hummer con degli agganci alla corrente elettrica e un tubo lungo 200 metri; isolavano il posto dalle onde radio e caricavano tranquillamente sette o otto taniche da mille litri ciascuna messe sopra un camioncino che poi portavano lì a Villarotta da Sergio”.

Anche Valerio è in contatto con questi albanesi che gli rivendono a un buon prezzo il gasolio, tanto che uno di loro gli chiede un appartamento in affitto a Cavriago. Ma il pugile della mafia gli risponde di no perché “dopo magari la polizia viene a cercare te e trova anche me”.

Quanto vale questo gasolio? “Settemila litri equivalgono a circa settemila euro” dice Valerio: due zeri in più dei 70 euro risucchiati in Albania nel 2013. Veniva vampirizzato nelle cisterne dei depositi italiani e in quelle dell’Est; Valerio racconta di essere andato addirittura in Bulgaria a cercare la flotta (mezzi di trasporto con cisterne nascoste) per portare la materia prima in Italia.

I camion avevano una capacità di settemila litri a viaggio e arrivavano ai nostri distributori. Ce n’è uno lungo la strada che porta da Villarotta verso Gonzaga dove scaricavano la materia pagata un euro e dieci centesimi per essere rivenduta a uno e venticinque. In un altro distributore a Cadelbosco si faceva il cambio camion vuoti/camion pieni. Lì “ci lavorava una ragazza rumena che ha fatto Il Grande Fratello: lei faceva il bar e l’altro faceva i timbri per la carbon tax e si pigliava il suo due o tre per cento. Aveva un suo sistema di lavoro, ‘sta ragazza. Era molto generosa nel vestirsi e mostrava la mercanzia a tutti quanti”. Conclude d’istinto l’avvocato difensore: “Quindi si faceva volentieri il gasolio lì…”.

Truffe sul gasolio la cosca reggiana le faceva volentieri anche in Veneto, nel veronese, dove “ci bazzicavano tutti”. E tra i tutti Valerio fa i nomi di Tommaso Martino, Peppe Costanzo, Crivaro, Blasco, Turrà, Diletto, Eugenio Sergio: “Loro trafugavano tutto, ma maggiormente hanno fatto diverso gasolio proveniente dalla Polonia, frodando le accise e l’Iva. Dovevano arrivare diversi bilici la settimana di gasolio. Ci volevano parecchi soldi contanti, tutte le settimane”.

Per acquistare gasolio senza spendere un euro Alfonso Diletto alla fine del 2011 va a trovare la mente economica della cosca Giuseppe Giglio a Gualtieri e gli chiede di scendere rapidamente in Calabria. E’ un invito che non si può rifiutare perché Nicolino Grande Aracri ha un affare, o meglio una truffa, da proporgli. I due scendono, racconta Giglio nel 2016, e si incontrano con Grande Aracri in un ristorante tra Cutro e Steccato, dove il boss arriva con “cinque o sei persone che non conoscevo. Erano tutti ragazzi giovani; poi sono arrivati altri due da Reggio Calabria, con il cognome di una famiglia che si sente molto…”.

Giglio non ricorda quel nome, né se provenissero dal capoluogo, dalla Locride o da Gioia Tauro, ma la famiglia era certamente di ‘ndrangheta. La truffa ruota attorno a delle false fideiussioni per forti somme, utilizzabili entro 40 giorni come contante per acquistare carburanti e altre merci. E’ il lasso di tempo nel quale la copertura è garantita da carte in regola ottenute grazie alla complicità di alcuni funzionari di banca, prima che la fideiussione venga revocata e svanisca: “Erano della Banca Popolare dell’Emilia e della Barclays”, dice Giglio ai PM, ed anche “della Banca Popolare di Crotone”, a sua volta appartenente al gruppo  bancario BPER. Giglio racconta che i reggini in odore di ‘ndrangheta caldeggiavano l’idea di utilizzare queste fideiussioni al Nord, ma lui vedeva i rischi e i problemi che sarebbero emersi: “Il concetto è che a me spettava il 30% del materiale acquistato con le false fideiussioni, mentre il restante andava a Grande Aracri che lo doveva dividere con gli altri (i reggini)”. Il materiale è il gasolio, che andrà poi rivenduto per trasformarlo in soldi. Giglio prende tempo, in quella riunione, e negli interrogatori spiega ai PM perché alla fine non accettò la proposta: “Vi dico la sincera verità: avrei dovuto agganciare le fideiussioni alle mie aziende, metterci la mia faccia. Ma chi mi vendeva il gasolio me lo dava anche senza fideiussione, quindi non avevo nessun motivo di portargli… (quelle carte false)”. Il suo pensiero è chiaro: non mi brucio un fornitore fregandolo una volta, perché poi da lui non potrò più tornare. Dire di no a Grande Aracri e ai suoi amici venuti da Reggio Calabria non è cosa semplice e Giglio ne parla in privato con Alfonso Diletto: “Gli ho detto: guarda, per me è un po’ troppo rischioso e secondo me è rischioso anche per te. Perché secondo me qua scattano denunce per truffa e non ne usciamo più. La truffa si paga col carcere: parliamoci chiaro!”

“E Diletto?” chiede il PM Marco Mescolini.

“Mi ha detto che avrebbe visto di spendere quelle fideiussioni nel bresciano, che le avrebbe usate per l’acquisto di una proprietà immobiliare grossa che stava curando…”

Alfonso Diletto, con o senza fideiussioni, di gasolio ne commercia comunque tanto, che “compra a prezzo puro di 30 o 40 centesimi grazie a delle amicizie”, dice Giglio. Si era messo addirittura a cercare un grande deposito dove stivarlo: prima a Monticelli Terme e poi a Massa Carrara. Antonio Nicastro invece è un ladruncolo di Isola Capo Rizzuto che con cinque euro e una calamita riusciva a farsi erogare “gasolio all’infinito” dalle pompe automatiche, portato poi via sui furgoni di Michele Bolognino e Giuseppe Richichi. Giuseppe Sarcone a sua volta comprava dalla Polonia gasolio rubato a 65 centesimi e lo rivendeva a 1,10 senza dirlo a nessuno, tranne che a Giglio.

Rubare gasolio insomma era consuetudine. Rubarlo in Albania, come in Polonia, era la norma. Ma in Albania, racconta Giuseppe Giglio nel luglio del 2016, si facevano, o si tentavano, anche ben altri affari. Di dimensioni economiche assai più grandi. Come acquisire appalti da milioni di euro per grandi opere pubbliche con la complicità di un poliziotto bolognese e di politici del governo albanese. Ne parleremo.

 

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