SEDE LEGALE… MA NON TANTO

6 Agosto 2018

Paolo Bonacini, giornalista

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Se vi capita di passare in questi caldi giorni d’estate sulla provinciale 486 che da Modena porta a sud verso l’inferno del comprensorio ceramico, poco prima del sottopasso che incrocia l’autostrada del Sole date un occhio alla vostra sinistra al cancello arrugginito con affisso il numero civico 1091. Ci vedrete l’immancabile cartello “attenti al cane” e sul battente di destra quattro cassette postali sopra quattro targhe che identificano la sede legale di altrettante società. Sono la Doro srl, Ispo srl, Finalda srl, La Rosa srl.

Il valore della produzione di queste imprese negli ultimi tre anni di gestione, certificato dalle visure camerali, supera i 25 milioni di euro, con utili complessivi per oltre 200mila euro. La rigorosa documentazione societaria dice che le attività spaziano per tutte le quattro aziende dalla raccolta di pubblicità all’edilizia e alla compra vendita di immobili, dalla gestione di bar e ristoranti all’autotrasporto, dal noleggio di macchine agricole al movimento terra. Con l’aggiunta della realizzazione e gestione di strutture sportive e ricreative destinate a manifestazioni culturali e congressi per la sola La Rosa srl.

Non male come biglietto da visita, se non fosse che la vista della “sede legale” di queste quattro imprese qualche curiosità la legittima. La foto scattata in via Pietro Giardini (la provinciale 486) al n. 1091 è questa.

Le cassette della posta, con le immancabili pubblicità dei centri commerciali che non guardano in faccia alla ruggine, sono “leggermente” usurate dal tempo e dagli elementi climatici. Il cancello chiuso con una catena da motorino, anche. Ma ciò che desta maggiore perplessità è cosa c’è dietro.

C’è un campo, ci sono rovi e alberi abbandonati a sé stessi, c’è l’erba alta che andrebbe tagliata e tra la quale spunta una casetta in legno di quelle che si comprano all’Obi per 500 euro.

Null’altro. Se vi aspettate ingressi accattivanti, fontane zen, uffici direzionali, personale creativo e operai al lavoro, andate da un’altra parte. Qui, “sotto il vestito (delle insegne sul cancello) niente”.

O meglio: qualcosa c’è. Secondo il procuratore di Paola (Cosenza) Pierpaolo Bruni c’è una associazione a delinquere, con truffa ai danni dello Stato e altri reati fiscali. Una truffa svelata da una complessa operazione della Guardia di Finanza che nel dicembre scorso ha portato all’arresto di 14 persone (12 in carcere e due ai domiciliari) e al sequestro preventivo di beni per oltre 33 milioni di euro.

L’operazione si chiama “Matassa” perché il disegno criminoso era ben congegnato e non è stato semplice per gli inquirenti venire a capo dell’ingarbugliato giro di società e affari loschi che dall’alto Tirreno cosentino si diramava in altre regioni d’Italia, Emilia Romagna compresa.

Siamo nel campo ben noto alle cronache di Aemilia delle società fantasma, dette “cartiere” o “filtro” a seconda delle funzioni, utilizzate per lucrare in compensazione tra crediti fittizi e debiti fiscali e previdenziali, ottenendo indebiti vantaggi “con gravissimo danno all’erario e all’Inps”.

Erano 24 le false società smascherate dall’operazione Matassa, comprese le nostre quattro arrugginite srl di via Giardini a Modena. Il danno prodotto negli ultimi cinque anni, i soli sui quali si è concentrata la Guardia di Finanza perché non finiti in prescrizione, supera i 33 milioni di euro.

Il confronto con le dimensioni delle “Truffe Carosello” di Aemilia e con i reati collegati al “vorticoso giro di fatture per operazioni inesistenti” (giudice Alberto Ziroldi, 15 gennaio 2015) è inevitabile. Nel processo che si sta svolgendo tra Reggio Emilia e Bologna 31 sono le persone coinvolte, 14 delle quali già condannate in abbreviato. Secondo le ricostruzioni della Direzione Distrettuale Antimafia di Bologna solamente tra il 2010 e il 2012 sono state interessate al passaggio di false fatture circa 140 imprese, sotto il controllo di una trentina circa di società riconducibili alla ‘ndrangheta, con sedi sparse tra Montecchio, Gualtieri, Boretto, Reggio Emilia, Parma, Verona, Milano e Lugano. Il valore complessivo del danno erariale si avvicina ai 50 milioni di euro.

L’avvocato Miraglia, difensore di Luigi Silipo e Vincenzo Mancuso, ha aperto la sua arringa nell’ultimo giorno di Aemilia prima della pausa d’agosto dicendo che “La ‘ndrangheta è una cosa seria”. Per sottintendere che i Pubblici Ministeri in questo processo hanno presentato richieste di pena esagerate per i pochi fatti attribuibili agli imputati.

Ma che la ‘ndrangheta sia una cosa seria lo si deduce proprio dai volumi e dalla continuità dei reati commessi in campo societario di cui si occupa Aemilia.

L’analisi delle imprese coinvolte e dei flussi monetari effettuata dai consulenti della Price Waterhouse Coopers per conto del Tribunale nulla concede alla fantasia o all’indeterminatezza. Nelle due udienze in cui sono intervenuti (riassunte nell’articolo: “Il guadagno nel fallimento” 2 febbraio 2018), hanno documentato che le società analizzate avevano una vita media di due anni per ridurre la possibilità delle verifiche fiscali, in alcuni casi intervenivano nella catena della compravendita solo per rendere più difficoltosa la ricostruzione dell’iter, compivano operazioni in brevissimi archi temporali, emettevano fatture senza una corrispondenza con merce realmente venduta.

Operazioni da professionisti, come da professionisti era la gestione dei magazzini dove dovrebbero trovarsi le merci che non esistono. Quando i finanzieri visitano nel 2010 la CDI Technology srl in via Bigi a Gualtieri trovano il capannone vuoto e il suocero di Giuseppe Giglio, Domenico Curcio, che sta lì a guardia del nulla. Ma almeno lui era nascosto da quattro pareti; a Modena invece la sede legale delle aziende fasulle si affaccia senza pudore sulla strada provinciale.

Segno dei tempi, forse: se l’illegalità è diffusa, ostentarla non è più un reato.

Per chiudere con l’indagine Matassa il fine principale degli associati, dice la Procura, era quello di creare meccanismi fraudolenti di evasione fiscale e di precostituirsi un elevato imponibile previdenziale per il trattamento pensionistico. C’era chi dichiarava retribuzioni (false) in alcuni casi di milioni di euro, per costruire pensiono d’oro ai danni dell’INPS.

Amministratore unico di tre società (Doro, Finalda e Ispo) è Luca Pavani, ferrarese residente a Praia a Mare (Cosenza). Della quarta (La Rosa) è Raffaele Mazzotti, originario di Tortona. Sono finiti entrambi dietro le sbarre assieme al socio di minoranza de La Rosa srl, Maurizio Ruggerini, imprenditore che si muove tra Modena e Praia a Mare dove gestisce Acquafans, il più grande parco acquatico della Calabria.

Socio di maggioranza è invece la società Ma.Ri. srl di Mantova che però ha sede a Fodico di Poviglio in provincia di Reggio Emilia. Nella stessa via Piccola dove si trova dal 2003 la sede secondaria della Ispo srl.

Cassette delle poste e cancelli arrugginiti cercasi, anche nella bassa reggiana e mantovana.

P.s. Le foto delle sedi legali le ha scattate la Cgil di Modena dopo la segnalazione di un cittadino sconcertato da quelle targhe sul nulla. Ce ne fossero tanti come lui…!

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