REPORT SUL MERCATO DEL LAVORO A REGGIO EMILIA NELL’ULTIMO DECENNIO
AUMENTANO GLI AVVIAMENTI AL LAVORO MA CALANO I RAPPORTI A TEMPO INDETERMINATO E
AUMENTA LA PRECARIETA’, CHE RIGUARDA IL 91,3% DEI RAPPORTI DI LAVORO
Un mercato del lavoro in movimento che punta dritto a maggior precarietà.
Il mercato del lavoro si muove: crescono gli avviamenti ma cambia la sua struttura. Dall’inizio della crisi crescono fragilità, precarizzazione e calano i posti di lavoro a tempo pieno.
I dati 2017 riguardanti avviamenti e cessazioni in Provincia di Reggio Emilia, su dati forniti dalla Agenzia Regionale per il lavoro dell’Emilia Romagna tramite i servizi per l’impiego di Reggio Emilia, mostrano una dinamica positiva rispetto agli anni precedenti. Come nel 2015 e nel 2016 anche nel 2017 gli avviamenti superano le cessazioni (+3.680). Livello tuttavia inferiore del 15% al saldo positivo rilevato nell’anno precedente, il 2016.
Il numero degli avviamenti è tornato ai livelli pre crisi (2007= 101.985; 2017= 104.680) dopo aver raggiunto il punto più basso nel 2009 (78.965 avviamenti, con un calo del 22,5% sul 2007). Da precisare che un saldo positivo è certamente un fatto economico positivo, ma non può essere interpretato tout-court come corrispondente creazione di posti di lavoro, come vedremo più avanti.
Confrontando questi dati relativi al numero di rapporti di lavoro instaurati con il numero di lavoratori coinvolti, notiamo che seppure il numero di lavoratori avviati è nel 2017 il più alto degli ultimi 9 anni, quello dei lavoratori coinvolti risulta ancora inferiore del 11,5% al numero dei lavoratori coinvolti nel 2007.
Il saldo tra numero di lavoratori avviati e quelli cessati è positivo nel 2017 di +920 unità, ma resta inferiore del 19,6% al saldo registrato nel 2016. Da notare che nel 2007 il saldo era 10 volte superiore (+9.965).
Anche il saldo positivo tra numero di lavoratori avviati e cessati, per quanto più significativo del numero dei rapporti di lavoro in positivo, non può essere considerato direttamente come indicatore della creazione di nuovi posti di lavoro equivalenti (cioè a tempo pieno), poiché per creare un posto di lavoro equivalente a tempo pieno potrebbe essere necessaria la somma di più lavoratori con contratti di durata inferiore all’anno e/o con varie forme di orario ridotto.
Tanto più che, osservando il numero medio di rapporti avviati nell’anno per ciascun lavoratore, si nota che in media per ogni lavoratore vi sono stati 1,69 avviamenti nel 2017, numero che rappresenta un aumento del 15% rispetto al 2007 (tab.1).
C’è più turn over, più mobilità ma allo stesso tempo si sono parzialmente modificate le modalità di impiego del personale per effetto della crisi e delle ristrutturazioni nelle imprese ad essa seguite (il 2013 pare un momento di svolta). Cresce l’utilizzo volante e precario della manodopera e scapito della stabilizzazione. L’aumento della media di rapporti di lavoro indica una strutturalità della precarizzazione nel mercato del lavoro reggiano. La precarizzazione ha colpito in particolar modo i lavoratori nella fascia di età compresa tra 25 e 44 anni come si evince dalla tabella 1bis: il 51,6% del totale degli avviamenti pro capite è concentrato in questa fascia di età con un numero che va da 1 a più 20 avviamenti lavoro nell’arco di un solo anno. E’ preoccupante anche la situazione di precarietà che coinvolge i lavoratori over 45 anni con il 27,6% del totale di avviamenti pro capite.
L’aumento della precarietà è dimostrato anche dalla tipologia di rapporti di lavoro avviati. Nel 2007 gli avviamenti a tempo indeterminato erano il 23% del totale, oggi sono solo il 14,6%, mentre quelli a tempo determinato erano il 77% e oggi sono l’85,4%. In termini assoluti gli avviamenti a tempo indeterminato sono calati (-8.550), mentre quelli a tempo determinato sono cresciuti (+9.554) rispetto al 2007. Nei dati forniti dall’Agenzia Regionale di cui alla tabella 2, sono comprese oltre ai tempi indeterminati effettivi anche quote di altre tipologie contrattuali quali apprendistato (che tanto stabile come rapporto di lavoro non è…) e quote di lavoro domestico e/o intermittente.
Pertanto i rapporti di lavoro stabili ovvero a tempo indeterminato nell’anno 2017 sono pari a 9.056 (8,7% sul totale degli avviamenti) mentre il resto dei rapporti oggettivamente precari sotto vario titolo sono 95.624 (91,3% sul totale degli avviamenti).
Aumento dei tempi determinati dovuto interamente al boom dell’ultimo anno (+18.255), che è stato l’unico anno nel decennio che ha superato il dato del 2007, recuperando tutti i consistenti cali registrati nel decennio (il punto più basso nel 2012 con 66.000 avviamenti a tempo determinato).
In sostanza in parallelo alla levitazione negli ultimi due anni dell’attività economica nel territorio, contenuta ma superiore al contesto nazionale, corrisponde una scelta netta e incondizionata delle imprese all’utilizzo di forme precarie e instabili dei rapporti di lavoro avviati, che come detto, si incrementano di parecchio.
Se si guarda alla evoluzione anno per anno si può cogliere come anche a Reggio Emilia il Jobs act non abbia determinato alcuna maggiore attrattività del contratto a tempo indeterminato (cosiddetto a “tutele crescenti”). Il solo scostamento a favore di questa tipologia lo si ha nel 2015, ma è solo l’effetto della decontribuzione, ben 8.000 euro all’anno, sul costo totale del lavoro.
Tanto è vero che il miglioramento verificato nell’anno 2015 verrà riassorbito nell’anno successivo a causa di un taglio consistente degli stessi benefici contributivi.
Gli avviamenti segmentati per classe di età mostrano una tendenza alla modificazione dell’assetto strutturale del mercato del lavoro: fatto 100 il totale degli avviamenti anno per anno, crescono di peso nel corso del tempo quelli che riguardano i lavoratori in fascia di età 45 e oltre (dal 19,7% del 2007 al 26,4% del 2017), cala di quota la fascia 25-44 anni (-6%) e rimane stabile quella più giovane.
Se ne potrebbe dedurre che la perdita di posti di lavoro ha riguardato nel corso del decennio massicciamente le classi di persone in età centrali che sono state costrette a cercare un altro lavoro, in particolar modo quelli che devono continuare a lavorare fino al raggiungimento dell’età pensionabile o dei contributi sufficienti per accederci: questa situazione già pesante di suo è stata aggravata dalla Legge Fornero che ha il pensionamento facendo cassa per il bilancio dello stato sulla pelle dei lavoratori.
Il peggioramento qualitativo del mercato del lavoro è dimostrato anche dal calo della quota di avviamenti a tempo pieno negli ultimi 5 anni, passati dal 72,5% al 68,6%, mentre la quota degli avviamenti a tempo parziale è cresciuta dal 27,5% al 31,4%. E’ evidente che un aumento della quota di avviamenti a tempo parziale comporta un incremento di avviamenti e di lavoratori necessari a determinare un posto di lavoro a tempo pieno.
Contrariamente a quello che si potrebbe pensare, è degno di nota il fatto che l’aumento dei contratti part-time ha riguardato nel quinquennio massicciamente gli uomini: +5.097 avviamenti, pari ad un incremento del 68,8%, mentre l’aumento delle donne è stato di +4.330 avviamenti, pari ad un incremento del 26,9%.
Poiché la parità tra i sessi per quanto riguarda gli impegni famigliari è ben lungi dall’essere raggiunta, si può pensare che molti uomini siano stati costretti ad accettare contratti a part-time anche se cercavano impieghi a tempo pieno in misura maggiore rispetto alle donne.
Da notare il massiccio aumento degli avviamenti nei servizi (+10.862) che costituiscono il 61,8% del totale degli avviamenti avvenuto tra il 2016 e il 2017.
Esaminando le principali qualifiche professionali avviate salta agli occhi l’eccezionale incremento delle qualifiche di cameriere di ristorante, cuochi in alberghi e ristoranti, baristi e professioni assimilate le quali insieme sono cresciute del 69,7% (da 5.180 a 8.792) e costituiscono il 73% degli avviamenti nei servizi.
Notevole è anche l’incremento della qualifica di facchini, addetti allo smistamento merci e assimilati, che è stato del 53,5%, passando da 5.180 a 8.792.
Il personale non qualificato delle attività industriali e professioni assimilate costituisce la prima qualifica di avviamento nell’industria con 4.542 avviati, in aumento del 30% sul 2016.
I braccianti agricoli costituiscono in assoluto la qualifica più numerosa di lavoratori avviati con 7.245 avviamenti, il 95% degli avviati in agricoltura.
L’esame dell’andamento delle principali qualifiche non depone certo a favore della tesi di un rafforzamento qualitativo dell’apparato produttivo reggiano.
Esaminando gli avviamenti per tipologia contrattuale ciò che balza agli occhi è che nel 2017 vi è stato un vero e proprio boom del lavoro intermittente “a chiamata” che in un anno sono quasi triplicati, con un aumento di 4.444 avviamenti corrispondente ad un incremento del 289%.
Notevole è stato anche l’incremento del lavoro interinale (+ 8.011 avviamenti, +35,6%).
Gli avviamenti di lavoro subordinato a tempo indeterminato sono invece calati di 1.239.
Il 91,3% del totale degli avviamenti al lavoro sono costituiti di contratti oggettivamente precari a scapito dei rapporti di lavoro a tempo indeterminato che rappresentano solo l’ 8,7% del totale degli avviamenti.
Non ci sono scostamenti significativi da segnalare. La percentuale di avviamenti di lavoratori extracomunitari è rimasta sostanzialmente stabile nel decennio: era del 19,61% del totale nel 2007 ed e cresciuta fino al 22,2% nel 2009 (in un quadro di arretramento generale degli avviamenti) quando pure il numero di lavoratori extracomunitari avviati è stato il più basso del decennio.
Nel 2017 e rispetto al 2016, la zona di Montecchio Emilia ha registrato +1,5% di avviamenti al lavoro e
+ 1,4% di cessazioni. La zona di Reggio Emilia invece ha registrato -1,5% negli avviamenti e -1,3% nelle cessazioni. Questo dato indica che non ci sono stati grandi variazioni nell’occupazione per quanto riguarda le varie zone della provincia.
Note conclusive
Se pur in presenza di indicatori provinciali, quali le esportazioni e il valore aggiunto, che descrivono una ripresa economica nel territorio, gli elementi di debolezza sul mercato del lavoro sono pienamente confermati dalle autorevoli stime dell’IRES (Toscana) su dati Prometeia. Secondo queste stime, le Unità di lavoro totali, cioè i posti di lavoro equivalenti a tempo pieno, sono aumentati nell’ultimo anno nella nostra provincia di 3.000 unità (da 230.000 a 233.000) con un incremento dell’1,3%.
Tuttavia il numero di tali unità rimane ancora inferiore di 16.000 unità, pari al -6,43%, al livello di 249.000 unità raggiunto nel 2008.
Il punto più basso è stato toccato nel 2014 con 224.000 unità, che corrispondeva a una perdita di 25.000 posti di lavoro sul 2008. Da allora si sono recuperati 9.000 posti di lavoro (+1.000 nel 2015, +5.000 nel 2016, +3.000 nel 2017).
Tale dato può essere confrontato con i dati Istat a livello nazionale, che stimano che rispetto al 2008 manchino ancora 1,2 milioni di posti di lavoro, pari a una perdita del 4,7%.
Quindi in termini di perdita di posti di lavoro a Reggio la crisi è stata più grave della media nazionale. D’altra parte nella nostra provincia, provincia più industriale del Paese, si sono cumulati gli effetti della crisi generale dei settori manifatturieri con la eccezionale e peculiare gravità della crisi nella nostra provincia del settore delle costruzioni.
Mentre infatti l’industria in senso stretto ha perso tra il 2008 e il 2017 12.000 posti di lavoro (-15,7%), arrestando la perdita di posti di lavoro negli ultimi quattro anni, anni nei quali però (compreso il 2017), non pare esserci stato nessun incremento di occupazione, stabile da quattro anni attorno alle 64.000 unità.
Il settore delle costruzioni ha visto contrarsi l’occupazione (sempre tra il 2008 e il 2017) di 9.000 unità, con un drastico calo (- 37,5%).
L’agricoltura ritorna nel 2017 al livello del 2008 (circa 7.400 unità), mentre i servizi, dopo aver perso 7.000 posti di lavoro tra il 2008 e il 2010, hanno recuperato e superato di circa 4.000 unità il livello del 2008.