REGGIO EMILIA SOTTO SCACCO

12 Ottobre 2018

Paolo Bonacini, giornalista

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La 194esima udienza del processo Aemilia, penultima del rito ordinario che si celebra dal lontano marzo 2016 nell’aula bunker del Tribunale, ha registrato giovedì 11 ottobre l’attesa dichiarazione spontanea del collaboratore di giustizia Antonio Valerio.

Poteva essere una arringa difensiva, dopo i tanti attacchi rivolti dagli avvocati difensori alla credibilità del “Pulitino”, come chiamavano Valerio gli amici di ‘ndrangheta, e invece sono state tre ore di assalto.

L’abituale retorica del collaboratore è salita in cattedra per questo capitolo finale della sua storia, spaziando dai primi esseri umani sulla terra alle divinità greche, da Omero agli Etruschi, dal Bagaglino al buio cosmico passando per Galileo, Einstein e i Pitagorici. Ma spogliate del colore delle citazioni le sue parole sono apparse assai lucide sulla storia e sulle caratteristiche della famiglia reggiana di ‘ndrangheta. Che non si ferma qui, dice Valerio, perché a Reggio Emilia, lo ribadisce quattro volte:

“Non è finito niente! Non illudetevi di avere eliminato la cosca”.

 

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Ma se non è finito niente, chi sta prendendo o prenderà il posto dei capimafia messi dietro le sbarre? La risposta di Valerio è da prima pagina: oggi sono le donne libere della famiglia a guidare le attività, domani potrebbe esserci la resa dei conti tra i Sarcone e gli Amato per il controllo del territorio.

 

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Antico e moderno non faticano a stare assieme nella testa e nelle pratiche della ‘ndrangheta reggiana, dice Valerio. Qui si è continuato a battezzare gli affiliati con il rito del sangue e “se non mi credete fatevi vedere la cicatrice a croce sul pollice di Gaetano Blasco”.  Ci sono due case delle cerimonie in provincia: una a Barco di Bibbiano, culla del Parmigiano Reggiano, e una a Brescello, culla della cosca Grande Aracri. “E non illudetevi che a chiamare Cutrello quel quartiere allontani il problema”, aggiunge il collaboratore, “perché questa non è Cutro, questa è provincia di Reggio Emilia”. Dove le cose vanno avanti, dove la consorteria si evolve, arrivando alla ‘ndrangheta 5.0 e a una criptovaluta che funziona molto meglio dei bitcoin: gli appartamenti comprati e venduti in nero.

 

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Ma si può riassumere questa ‘ndrangheta che ha infettato così tanto la nostra provincia in un solo minuto di parole? Valerio ci riesce, con frasi e con toni che mettono i brividi. Per la semplicità e la drammaticità di quanto afferma.

 

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In mattinata, prima della lunga requisitoria di Valerio e di quella assai più breve di Salvatore Muto, il presidente Francesco Maria Caruso aveva dichiarato chiuso il dibattimento. Ora restano da ascoltare solamente le ultime dichiarazioni spontanee degli uomini alla sbarra. Mentre Valerio parlava, nell’udienza di giovedì, gli imputati che da tre anni sono in galera hanno chiesto ai giudici di poter leggere anche loro dagli appunti scritti, come concesso al collaboratore di giustizia. Caruso ha acconsentito. Cosa scriveranno, e cosa diranno, lo sapremo martedì 16 ottobre nell’ultima udienza, la numero 195.

Poi il collegio si ritirerà in Camera di Consiglio e dopo un buon numero di giorni, presumibilmente ai primi di novembre, ne uscirà per rendere pubblica la sentenza.

Ma è solo il primo grado e, come dice Valerio, non è finito niente.

 

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