PERLE DI UN PROCESSO DI MEZZA ESTATE (2)

14 Agosto 2018

Paolo Bonacini, giornalista

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Un anno fa scrivevamo le “Perle di un processo di mezza estate” rilassandoci un po’ nell’infuocato ferragosto, con l’aula bunker del processo Aemilia chiusa per ferie.

Dodici mesi dopo, le ultime udienze caratterizzate dalle arringhe dei difensori, offrono più di uno spunto per “nuove perle” che hanno animato il processo dal 29 maggio al 31 luglio 2018.

 

LA ‘NDRANGHETA NON ESISTE, MA CHI NE FA PARTE NON LO SA

Se un imputato nega di appartenere alla ‘ndrangheta, prendiamo ad esempio Antonio Muto ’55, è coerente che il suo avvocato metta in dubbio nell’arringa l’esistenza stessa in Emilia Romagna della organizzazione criminale di stampo mafioso. E’ quanto fa l’avv. Vincenzo Belli il 5 giugno, riprendendo argomenti già esposti il 29 maggio dall’avv. Alessandro Falciani, difensore del collaboratore di giustizia Antonio Valerio. Quella che Valerio chiama ‘ndrangheta emiliana non prevede come obbligatorio il rito della affiliazione e non ha una struttura verticale di comando, ma è organizzata secondo gli ormai famosi universi paralleli tangenti l’uno all’altro. Allora ‘ndrangheta non è, dicono i legali, secondo i canoni della giurisprudenza.

La conseguenza di questa tesi è imbarazzante per lo stesso Valerio. Lui ha ammesso, iniziando a collaborare, di appartenere alla cosca riconducibile ai Grande Aracri dopo avere per lungo tempo militato con i Dragone. La sua attività mafiosa si è sviluppata a Reggio Emilia e Valerio ne ha fornito ampi resoconti che hanno prodotto pure nuovi capi di imputazione, ad esempio per gli omicidi Ruggiero e Vasapollo.

Ma se qui da noi la cosca non esiste, di cosa può essere accusato Valerio? Non vale il 416 bis perché per appartenere a una organizzazione criminale di stampo mafioso bisogna che l’organizzazione ci sia. Ma non può bastare il 416 normale, che punisce la semplice associazione criminale, perché Valerio agiva pensando di essere uno ‘ndranghetista e quindi avvalendosi, almeno in proprio e con i suoi amici, della forza di intimidazione e delle caratteristiche proprie dell’uomo di mafia.

In attesa che venga eventualmente scritto e declinato il reato di “appartenenza ad una organizzazione mafiosa che però non esiste”, Antonio Valerio ha risolto a suo modo il conflitto il 26 luglio, sfiduciando Falciani in video conferenza e chiedendo un nuovo difensore d’ufficio. Falciani si è così immediatamente allontanato dall’aula dopo aver stretto le mani a colleghi, giudici e PM. Da quel giorno in Aemilia anche lui, come la ‘ndrangheta, non esiste più.

 

SCIOGLILINGUA COSTITUZIONALE

Per due mesi sul processo ha aleggiato il fantasma della Corte Costituzionale. La sentenza della Consulta doveva fare chiarezza su di un presunto conflitto (costituzionale) tra il diritto di sciopero degli avvocati in presenza di imputati detenuti e il diritto alla “ragionevole durata” del processo a tutela delle libertà individuali.

Una materia molto tecnica ma dalle potenziali conseguenze devastanti per Aemilia, tipo la necessità di dover annullare e rifare un anno di udienze.

Molte arringhe si sono soffermate sul tema e chi si è spinto più in là di tutti è l’avv. Maria Battaglini del foro di Milano, legale di Giuseppe Vertinelli.

Ha esordito il 21 giugno dicendo: “Mi chiedo se in questo processo sia stato rispettato l’art. 111 della Costituzione”. E’ l’articolo in cui si declina il concetto di “giusto processo”, che si svolge “nel contraddittorio tra le parti in condizione di parità davanti al giudice terzo ed imparziale” e che si chiude entro una “ragionevole durata”.

La Battaglini sostiene che la ragionevole durata è stabilita dalle leggi e non può essere decisa arbitrariamente dal giudice, facendo prevalere in modo “sproporzionato” la volontà di chiudere in fretta, sebbene due anni per un maxi processo non siano poi tanti, rispetto al legittimo diritto di sciopero degli avvocati. “Si è violata la parità delle parti” imposta appunto dall’art. 111 della Costituzione, sostiene Maria Battaglini, e “più studiamo le carte più ci convinciamo che avete sbagliato”, dice rivolta ai giudici Caruso, Rat, Beretti. In discussione viene messa dunque anche la loro imparzialità: “Più studiamo le carte più ci convinciamo che avete tralasciato il rispetto di diritti più importanti della ragionevole durata del processo”.

La sentenza n. 180 della Corte Costituzionale è infine arrivata il 27 luglio riconoscendo la correttezza del problema sollevato dai giudici di Aemilia. Nel conflitto tra la regolamentazione del diritto di sciopero e la tutela delle libertà personali è il secondo valore a prevalere. Di conseguenza è illegittima la norma che autorizza gli avvocati ad astenersi dalle udienze anche quando gli imputati, come nel caso di Aemilia, esprimono il loro consenso allo sciopero.

“La mia coscienza non è serena”, aveva detto l’avv. Maria Battaglini in apertura della propria arringa. Ma come dice lo scioglilingua: “Se non sarà seren, si rasserenerà”.

 

NEBBIA IN VALPADANA

L’avvocato Stefano Vezzadini, legale di Gianluigi Sarcone e Gianni Floro Vito, è tra i più convinti sostenitori della mancanza di prove ed elementi atti a configurare l’associazione di stampo mafioso. Lo dice in modo perentorio sostenendo il 12 giugno che “Qui siamo sideralmente distanti dal 416 bis”. E aggiunge: “Sulle espansioni delle mafie nel nord Italia sono state generate inutili nebbie”. Perché, cosa si aspettava in Pianura Padana?

 

TRUMP INSEGNA

Le difese della famiglia Bianchini per le vicende del post terremoto in Emilia Romagna hanno caratterizzato le udienze del 19 giugno (avv. Giulio Garuti) e del 21 (avv. Simone Bonfante). Ritengono i capi di imputazione “Fluidi e sfuggenti, con richiesta ai giudici di riempirli di contenuti”. L’avv. Bonfante si sofferma in particolare sul tema delle macerie contenenti amianto utilizzate impropriamente, secondo l’accusa, per alcune pavimentazioni nei cantieri della ricostruzioni e stoccate altrettanto impropriamente all’aperto nell’area dell’impresa Bianchini Costruzioni srl a San Felice sul Panaro.

“Ma secondo voi” dice con fervore Simone Bonfante ai giudici “io vado a mettere consapevolmente l’amianto sotto casa nel mio Comune??!”

Un esempio negativo in tal senso purtroppo esiste. Si chiama Donald Trump ed è il presidente degli Stati Uniti. Ha reso in questi giorni di nuovo legale l’utilizzo dell’amianto in edilizia nel proprio paese, dove era proibito dal 1989, dopo aver sostenuto che la messa al bando dell’amianto era stata il frutto di una cospirazione guidata dalla malavita. Questo perché le società che effettuano la rimozione dell’amianto, sempre secondo Trump, sono spesso legate alla criminalità organizzata. Quindi lui reintroduce l’amianto, che in America provoca ancora 40mila morti all’anno per tumore. E se domani dovrà ordinare la rimozione magari verrà a chiedere consigli alla Bianchini Costruzioni srl.

 

APOLOGIA DI NOSTALGIA

L’avvocato Francesco Laratta difende assieme a Carmen Pisanello uno degli imputati eccellenti di Aemilia, il presunto capo cosca Michele Bolognino per il quale l’accusa ha chiesto 30 anni di carcere nel rito ordinario e 18 in quello abbreviato. Martedì 10 luglio l’introduzione della sua arringa sfiora toni epocali ed inizia con una dichiarazione d’affetto: “Io sono uno studioso e un amante del periodo storico che va dal 1922 al 1945”. A chi sfuggisse il riferimento ricordiamo che tra il 20 e il 30 ottobre del 1922 avvenne la marcia di 50mila squadristi su Roma, con il successivo incarico di Badoglio a Mussolini per formare un nuovo governo. Il 1945 invece, come quasi tutti sanno, è l’anno che mise fine al nazifascismo in Italia con la Liberazione del 25 aprile. Se uno ama quel periodo…

L’avv. Laratta prosegue il suo viaggio nella storia paragonando il processo Aemilia al processo di Norimberga che iniziò il 20 novembre del 1945. Lo fa perché a Norimberga, tra gli imputato dei crimini nazisti, mancava il grande capo, Hitler, morto suicida sette mesi prima, e il grande capo manca anche in Aemilia, perché Nicolino Grande Aracri non è imputato. Per rafforzare la similitudine Laratta si chiede a chi sarebbe paragonabile, di quel lontano processo, il suo assistito Michele Bolognino. E individua in Hermann Göring, capo dell’aviazione militare Luftwaffe, il criminale di guerra appropriato. Göring fu dichiarato colpevole e condannato a morte, sentenza che non fu eseguita perché il gerarca si suicidò la notte prima dell’esecuzione. Presumibilmente Laratta affianca Bolognino a Göring partendo dal presupposto che entrambi siano “non colpevoli”.

Forse invece di qualcosa è colpevole l’avvocato Laratta: non certo di “apologia di fascismo”, reato che il ministro Fontana vorrebbe oggi abolire in Italia, ma almeno di “apologia di nostalgia” sì. E’ un reato simbolico, che non prevede pene a parte brevi commenti tipo: “Quella tirata poteva risparmiarcela”.

 

LE RETI E LE SBARRE

I PM hanno lanciato “una rete a strascico, tirando in barca tanti bianchetti e pochi pesci di valore”. L’immagine è dell’avvocato Salvatore Vito Villani che difende Luigi Muto. Rende bene l’idea che vuole rendere.

“Neanche nei paesi più barbari del mondo si applica il 41 bis”, dice lo stesso giorno, il 26 luglio, l’avvocato Enrico Della Capanna che difende Antonio Crivaro. Il riferimento è al carcere in isolamento per i capi mafia, il cosiddetto carcere duro. Anche questa frase rende bene l’idea, ma non saremmo così sicuri della sua veridicità. Consigliamo a tal proposito di guardare le foto di “Encerrados”, una eccezionale raccolta effettuata  in dieci anni dal fotografo Valerio Bispuri visitando 74 carceri del Sudamerica. C’è di che riflettere. Una la alleghiamo a questo articolo.

Buon ferragosto a tutti.

SCRIVETECI! cgilrelegalita@er.cgil.it

fonte: http://www.valeriobispuri.com/vb16/reportage/jails-sud-america/

 

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