L’EMILIA SBANDA

20 Marzo 2018

Paolo Bonacini, giornalista

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Reggio, Parma, Modena. Tre grandi e moderne città che vantano condizioni di vita migliori di tante altre realtà del paese. Tre province al centro di indagini e processi sulla penetrazione della mafia calabrese in Emilia Romagna. Tre comunità che assieme contano quasi due milioni di abitanti, alle prese con il difficile compito di difendere la legalità nelle azioni e nei pensieri quotidiani.

Che il compito sia difficile lo dicono alcune vicende di queste ultime settimane: segni più o meno preoccupanti di approssimazione, di confusione, forse anche di tolleranza, al posto del rigore e della consapevolezza necessari per un efficace contrasto alla ‘ndrangheta e ai suoi crimini.

Cominciamo da Reggio Emilia, anzi da Brescello, dove il 3 marzo scorso l’ex consigliere comunale della Lega Nord Catia Silva ha presentato ai carabinieri una denuncia per la presenza al seggio elettorale di Sorbolo Levante, come scrutatrice, di Maria Iaquinta. E’ sorella di Giuseppe Iaquinta, imputato al processo Aemilia con l’accusa di appartenenza al sodalizio mafioso, ed è anche consuocera di Nicolino Grande Aracri, boss dell’omonima cosca che ha colonizzato la nostra provincia.

La notizia è stata riportata da tutti i quotidiani e la Gazzetta di Reggio ha chiesto spiegazioni ad uno dei commissari straordinari che guidano il comune sciolto per mafia. E’ il viceprefetto Antonio Giannelli che ha risposto: “La commissione elettorale si è riunita in pubblica assemblea ed ha individuato la procedura da seguire, ossia affidare la scelta degli scrutatori a un elaboratore informatico che ha provveduto ad un’estrazione automatica.”

La signora Iaquinta, ha poi aggiunto il commissario, era regolarmente iscritta all’albo degli scrutatori dal 2002; dal Tribunale non è mai arrivata nessuna segnalazione su di lei e l’esame del casellario giudiziale non ha fatto emergere nulla a suo carico.

“E’ tutto regolare e trasparente”: è la conclusione del viceprefetto dott. Antonio Giannelli. Giusto.

Ma regolare e trasparente è anche il criterio (diverso) scelto da molte altre amministrazioni comunali per la formazione delle liste di scrutatori.

La legge che regola la materia, la n. 95 dell’8 marzo 1989, stabilisce che tra il venticinquesimo e il ventesimo giorno antecedenti la data del voto “La Commissione Elettorale Comunale procede alla nomina degli scrutatori”, ma non specifica come si scelgono i nominativi nella lista degli iscritti all’albo. Il comune di Mirandola, per fare un esempio, chiarisce sul proprio sito che “La scelta degli scrutatori da nominare per la composizione dei seggi è lasciata alla libera discrezione della Commissione Elettorale”.

Aggiunge poi che la scelta degli scrutatori, in relazione ai loro importanti compiti, “dovrebbe ricadere, per quanto possibile, su persone che per affidabilità e serietà note e conosciute, assicureranno il preciso adempimento di tutti i lavori del seggio”.

Ma come si fa a individuare gli scrutatori più affidabili e seri se la scelta viene fatta per sorteggio da un computer? E’ appunto per questo che il comune di Mirandola conclude con un preciso orientamento, tenendo conto anche del fatto che lo scrutatore assume la qualità di Pubblico Ufficiale: “Le considerazioni di merito esposte renderebbero evidente l’opportunità di non lasciare al caso la scelta degli scrutatori per la composizione del seggio elettorale”.

Per il comune di Mirandola tocca dunque alla Commissione Elettorale scegliere nella lista dei potenziali scrutatori i nomi di quelli da portare ai seggi, sulla base del criterio “della provata esperienza e responsabilità”.

Se questo scrupolo ce l’ha una normale amministrazione, con un sindaco e una giunta legittimamente in carica, potevano avercelo anche i tre commissari Giannelli, Oriolo e Di Matteo che guidano il comune di Brescello, dove le ragioni della cautela e della prevenzione sono più forti? E se non ci hanno pensato in occasione delle recenti elezioni politiche, possiamo sperare che non si affidino al computer anche nelle imminenti elezioni amministrative, quando si dovrà eleggere il nuovo Consiglio e i rischi di condizionamento saranno ancora maggiori?

Il voto politico per il rinnovo del Parlamento intanto a Brescello una sentenza l’ha scritta. Con il Movimento 5 Stelle primo partito al 28% dei voti, la Lega Nord al 22%, il PD solo terzo al 21%, quello non è più il paese di Peppone e don Camillo.

A ponente dell’Enza intanto, in quel di Parma, ci si chiede se e cosa le indagini dell’operazione Stige coordinata dalla Direzione Antimafia di Catanzaro e dal procuratore Nicola Gratteri porteranno a galla nella città ducale sul versante economico degli affari di ‘ndrangheta.

Stige è un’operazione dalle dimensioni impressionanti, simile ad Aemilia per numero delle persone coinvolte e varietà degli affari illeciti realizzati. 170 gli arrestati operati dai carabinieri del ROS il 9 gennaio scorso, 50 milioni di beni confiscati, attività economiche in ogni campo al sud ma anche in Emilia, in Lombardia e in Germania.

Agroalimentare, bevande, imballaggi per alimenti, flotte di pescherecci, gestione di infrastrutture portuali e servizi turistici, onoranze funebri, lavanderie industriali, appalti per il taglio dei boschi, semilavorati per pizzerie, compravendita di immobili, narcotraffico, slot machine, furto e riciclaggio internazionale di automobili, gestione dei rifiuti solidi urbani e riciclaggio di materie plastiche e cartone. Si farebbe forse prima a citare cosa “non fa” la cosca, senza dimenticare attività nelle quali si lucra anche alle spalle del dolore come la gestione di centri per minori e i servizi di accoglienza per i migranti.

La famiglia di ‘ndrangheta è quella dei Farao-Marincola, impiantata a 38 chilometri da Cutro nel comune crotonese di Cirò Marina che versa in dissesto finanziario dal 2012. I suoi uomini avevano stretto accordi con i Grande Aracri e con le altre famiglie di San Leonardo, Isola Capo Rizzuto, Cassano, Rossano e Corigliano per spartirsi il territorio, e nel loro avevano scalato le carriere della politica arrivando a mettere un loro esponente di punta, Nicodemo Parrilla, a sindaco del Comune ed anche, per stare sul sicuro, a presidente della Provincia di Crotone.

Nell’inchiesta Stige finiscono accusati di falsa intestazione societaria anche Salvatore Muto, collaboratore di giustizia al processo Aemilia, e suo fratello Carmine arrestato a Cremona, assieme ad altri tre membri dell’infinita famiglia Muto. Un contributo alle indagini di Catanzaro l’ha dato anche l’altro pentito reggiano Antonio Valerio, di cui gli uomini di Gratteri apprezzano la “proficuità della collaborazione”, in particolare nella identificazione della famiglia Bonifazio (arrestato il capo Domenico) come gruppo di collegamento tra Nicolino Grande Aracri, “preposto della Provincia” mafiosa di Crotone, e le articolazioni denominate “cosca Trapasso” e “locale di Cirò”.

Ma Stige parla emiliano anche e soprattutto per l’arresto di un facoltoso dirigente d’impresa   originario di Crucoli in provincia di Crotone e domiciliato a Traversetolo. E’ Franco Gigliotti, emigrato al nord come apprendista idraulico e titolare oggi a 50 anni di un impero industriale costruito nell’ultimo ventennio a Parma nel comparto della meccanica di processo, che si occupa della preparazione e dell’installazione delle linee automatiche di lavorazione e imbottigliamento per i settori farmaceutico e della produzione alimentare. Decisive per incastrarlo e confermare le indagini sono state le confessioni di Francesco Farao, figlio del boss Giuseppe, che ha deciso di collaborare dopo l’arresto.

Gigliotti è uomo introdotto e di spicco della Associazione Industriali parmense, mecenate dello sport che ha sostenuto la rinascita del Parma Calcio con una quota di 15mila euro pari al 3,55% delle azioni, che sponsorizza con il marchio di una delle sue imprese, la GF Nuove Tecnologie srl, il rugby Colorno, la Croce Rossa, un giovane pilota dell’accademia Ferrari impegnato nel campionato GP3, l’altra squadra di calcio GS Felino.

Sono 23 le società oggi a lui riconducibili, nessuna delle quali risulta sequestrata. La maggior parte ha sede a Parma, le altre da Milano a Crucoli. Tra le centinaia di lavoratori assunti in queste imprese ci sono anche Vittorio Farao, fratello del pentito Francesco, e Aldo Marincola, che tengono con Gigliotti i rapporti per conto della consorteria calabrese.

Il loro compito, dice con due righe da brividi l’atto di convalida degli arresti, era “scongiurare pressioni estorsive da parte di altre organizzazioni criminali e calmierare ‘ndranghetisticamente le pretese laburistiche dei dipendenti”. Immaginiamo voglia dire: i sindacati in queste imprese non entrano e voi lavoratori non vi azzardate a discutere i tanti o pochi soldi che prendete di stipendio.

La bella favola dell’umile lavoratore salito a Parma e capace di entrare nei salotti buoni della città grazie alle sue capacità imprenditoriali è svanita a gennaio con la chiusura di Franco Gigliotti, che si professa innocente, dietro le sbarre del carcere cittadino.

Ora resta da chiedersi cosa succederà alle sue aziende e attività, alle centinaia di lavoratori interessati, alla rete di relazioni costruita nella provincia emiliana dall’imprenditore crotonese.

E resta anche da chiedersi perché sia stato possibile che un uomo capace, secondo la Direzione Antimafia, di “finanziare la cosca offrendo capitali, assumere persone selezionate dal direttorio della consorteria, calibrare i suoi investimenti secondo le esigenze della cosca, incrementare il fatturato delle imprese di ‘ndrangheta, finanziare il riciclaggio della plastica e dei cartoni, tenere a bada le pretese estorsive delle consorterie criminali nemiche” abbia trovato le porte aperte della città ducale e della sua gloriosa Associazione Industriali senza che nessuno si ponesse domande.

Ma forse la risposta è che vale a Parma ciò che appare ovvio a Reggio: alle associazioni d’impresa: industriali, artigiani, commercianti o cooperatori che siano, non interessa granché occuparsi di ‘ndrangheta. Nell’aula bunker di Aemilia non c’è quasi mai nessuno di loro, e il “quasi” deriva dal fatto che su circa 150 udienze io ne ho perse una decina. Forse sono venuti quelle volte lì.

Un salto a Modena è doveroso per chiudere l’articolo, perché venerdì scorso si è tenuto l’incontro su “Criminalità organizzata e terrorismo” promosso dalla Camera Penale della città, con ospiti il generale Mori e il colonnello De Donno, di cui abbiamo già parlato. Avevamo fatto notare che i due sono attualmente imputati al processo “Stato-mafia” di Palermo e che dopo quattro anni e otto mesi di udienze il pubblico ministero Vittorio Teresi ha chiesto da pochi giorni una condanna a 15 anni per Mori e a 12 per De Donno. Portarli come relatori in un seminario che offre crediti formativi sul versante “etico” agli avvocati partecipanti, ci pareva un tantino fuori luogo.

Le polemiche e le prese di posizione, in particolare della politica, non sono mancate, ma oggi interessa tornare sul tema solo per colmare una lacuna.

L’incontro alla Camera di Commercio prevedeva anche la proiezione del film di Ambrogio Crespi titolato “Generale Mori: un’Italia a testa alta”. La dimenticanza del nostro precedente articolo riguarda il curricolo del regista, Ambrogio Crespi.

Non quello cinematografico che è di alto livello, ma quello giudiziario.

Perché anche lui deve rispondere davanti ad un tribunale, nell’Appello iniziato a fine febbraio a Milano e subito rimandato ai nostri giorni, di reati che hanno a che fare con le mafie. Si tratta di una indagine che coinvolge l’ex assessore regionale della giunta Formigoni Domenico Zambetti, condannato dal Tribunale di Milano in primo grado con l’accusa di essere stato eletto alle regionali del 2010 grazie a quattromila voti comprati dalla ‘ndrangheta lombarda per circa 200mila euro. La sentenza di primo grado ha inflitto l’anno scorso ad Ambrogio Crespi, coimputato nella vicenda, la condanna a 12 anni con l’aggravante del concorso esterno in associazione mafiosa.

Crespi è stato anche riconosciuto colpevole con sentenza definitiva nel 2015 dalla Corte di Cassazione per la bancarotta della società HDC spa, riconducibile al fratello Luigi definito “il sondaggista” di Berlusconi. La pena per Ambrogio era stata di quattro anni di reclusione ma dovrà essere rideterminata per le modifiche di legge intervenute sui fallimenti societari.

Continuiamo a pensare che la Camera Penale di Modena avrebbe potuto essere un tantino più prudente nell’accoppiare tema e ospiti dell’incontro.

 

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