LA ‘NDRANGHETA

28 Agosto 2018

Paolo Bonacini, giornalista

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In attesa che giovedì 6 settembre riprenda il processo Aemilia, con le repliche dei PM Mescolini e Ronchi alle arringhe difensive, teniamoci allenati con alcuni approfondimenti sul più vero oggetto del contendere: la ‘ndrangheta.

I 148 imputati di Reggio Emilia, assieme all’altro centinaio del rito abbreviato di Bologna, debbono rispondere di accuse e di reati collegati all’espansione della criminalità organizzata di origine calabrese al nord e in particolare del suo radicamento nella nostra regione. Aemilia ci ha consentito di andare indietro nel tempo, ricostruendo le storie e i collegamenti di una crescita continua delle attività di ‘ndrangheta segnata anche da fatti di sangue per il controllo del territorio. L’operazione “Aemilia 1992”, che ha portato il 19 ottobre 2017 all’arresto in carcere di Nicolino Grande Aracri, Nicolino Sarcone e Angelo Greco, ci dice che i due omicidi consumati tra settembre e ottobre di quell’anno in provincia di Reggio Emilia (Nicola Vasapollo a Pieve Modolena, Giuseppe Ruggiero a Brescello), “erano maturati nel corso di una faida di mafia tra la cosca Grande Aracri/Dragone/Ciampà  ed il sodalizio Vasapollo/Ruggiero” come ricorda la relazione del Ministro dell’Interno al Parlamento sulle attività della Direzione Investigativa Antimafia relative al secondo semestre 2017.

Nel 1992 dunque le cosche di ‘ndrangheta già si contendevano l’egemonia in territorio reggiano. Nello stesso periodo muoveva i primi passi un nuovo organismo istituito nell’ambito del Dipartimento della Pubblica Sicurezza con la legge 410 del 30 dicembre 1991: la DIA, Direzione Investigativa Antimafia.

La prima relazione completa sul suo operato è pubblicata dal Ministero dell’Interno in riferimento alle attività compiuto nel 1998 e la ‘ndrangheta vi appare in misura piuttosto marginale rispetto alle altre grandi organizzazioni: Cosa Nostra, Camorra e Mafia Pugliese. Non compare neppure, mescolata sotto la voce “altre forme di criminalità organizzata”, nelle attività di prevenzione con misure restrittive riguardanti le persone e i patrimoni. Anche gli ordini di custodia cautelare emessi nell’anno mettono la ‘ndrangheta sul gradino più basso del podio, con 124 arresti contro i 192 di Cosa Nostra e i 258 riferiti alla Camorra.

Eppure già allora, 20 anni fa, il valore dei beni sequestrati agli uomini delle cosche calabresi superava quello di Camorra e Sacra Corona, con 35 miliardi di lire, una cifra seconda solo ai 53 miliardi di beni strappati alla mafia siciliana.

In termini di analisi la relazione dedica poche righe alla ‘ndrangheta, che gli investigatori stanno allora studiando per la “identificazione di sconosciute direttrici di espansione territoriale con l’obbiettivo di rilevare la presenza di elementi appartenenti alla ‘ndrangheta in aree territoriali diverse da quelle di origine”. Paradossalmente si conoscono meglio, nel 1998, i paesi esteri di espansione delle attività di ‘ndrangheta che non le regioni del nord, Lombardia a parte, nelle quali le famiglie hanno impiantato attività. “La flessibilità della ‘ndrangheta” spiega la relazione “le ha consentito di valicare i confini nazionali verso numerosi paesi quali Colombia, Brasile, Australia, Canada, Francia, Svizzera, Germania, Spagna, Portogallo, Polonia, Repubblica Ceca e alcuni Stati asiatici. In tali paesi i clan calabresi si sono dislocati per controllare le rotte orientali dell’eroina, che passano anche attraverso altri paesi quali Bulgaria, Repubblica Slovacca, Ungheria, Romania, Slovenia, Croazia, Bielorussia, Ucraina e Federazione Russa”.

L’intensa attività della Direzione Antimafia, le indagini e le inchieste, i processi, nei due decenni successivi a quel 1998 hanno poi consentito di colmare le lacune di allora e disvelare, oltre che combattere, la forza della ‘ndrangheta in tutto il suo nefasto potenziale, sia sotto il profilo della espansione geografica che delle dimensioni economiche e dei soggetti coinvolti.

L’analoga relazione del 2018, relativa al secondo semestre 2017, è impressionante per contrasto con quella di vent’anni prima. La ‘ndrangheta intanto è collocata all’inizio e occupa le prime 65 pagine della relazione ministeriale, seguita dalla criminalità mafiosa siciliana, campana, pugliese, lucana e (per la prima volta) anche romana.

Una sintesi del cosa dobbiamo intendere per ‘ndrangheta sta in queste righe: “La ‘ndrangheta continua a rappresentare un’organizzazione di tipo mafioso fondata sulle famiglie, intese quale vincolo di parentela, costantemente proiettata verso la moltiplicazione della ricchezza e l’esercizio del potere. Al di fuori del territorio d’elezione le cosche cercano in vario modo di accreditarsi per accedere a quei circuiti utili a condizionare scelte politiche e amministrative, regolare rapporti con imprese, enti, banche ed istituzioni. Un’ambizione che, di fatto, ha determinato la proiezione delle ‘ndrine verso le aree più ricche del Paese ed all’estero, dove è ormai consolidata la capacità di riciclare e reimpiegare i capitali illeciti, utilizzando tecniche di occultamento sempre più sofisticate, con il traffico internazionale di stupefacenti che rimane la primaria fonte di finanziamento”.

Una fotografia più dettagliata ce la forniscono le impressionanti cartine sulla presenza di famiglie di ‘ndrangheta in Calabria.

La provincia di Reggio Calabria è divisa in tre aree: Città Metropolitana, Mandamento Tirrenico e Mandamento Ionico. Nella prima operano 21 famiglie mafiose, nella seconda 42 consorterie, nella terza 40. In provincia di Catanzaro i gruppi operativi sono 17, in provincia di Vibo Valentia 19, a Cosenza 14. E 14 anche a Crotone, compresi i nomi a noi noti di Grande Aracri, Trapasso, Megna, Farao Marincola, Arena, Nicoscia, Vrenna, Corigliano, Bonaventura. In tutto 167 raggruppamenti mafiosi, ciascuno normalmente composto da più nuclei famigliari, autonomi ma anche coesi nel rispetti di regole e riti d’ingaggio tra consorterie, almeno fino a quando le guerre di mafia per il potere non accendono le armi. Le indagini dello scorso anno hanno addirittura accertato l’esistenza e “le modalità di funzionamento dei tribunali di ‘ndrangheta, con le procedure dei giudizi in capo agli affiliati sospettati di violazioni, nonché le regole applicabili in caso di faida (l’insorgere della faida può provocare lo scioglimento del Locale da parte della Provincia quale primo passaggio per giungere ad una successiva pacificazione)”.

Ricordiamo che la Provincia, in senso mafioso, è l’organismo di governo delle relazioni tra le cosche, e che il capo della Provincia di Crotone è Nicolino Grande Aracri, la cui famiglia in questa enorme galassia del malaffare continua ad essere un sole di tutto rispetto, ci dice la Direzione Antimafia, perché “continua ad esercitare la propria egemonia sull’area in esame (provincia di Crotone) attraverso il locale di Cutro, ponendosi come riferimento anche per le altre famiglie del posto, potendo contare, tra l’altro, sulle ormai consolidate alleanze con le cosche della provincia di Reggio Calabria, del capoluogo di regione e dell’alto jonio cosentino”.

Altro dato: nel 2017 indagini e inchieste hanno evidenziato nuove collusioni tra compagini di ‘ndrangheta ed apparati politico-amministrativi locali, tanto da portare allo scioglimento per mafia di sei consigli comunali: Brancaleone, Cropani, Cassano allo Ionio. Isola Capo Rizzuto (dove sempre redivivi sono gli Arena ben noti anche a Reggio Emilia), Lamezia Terme, Marina di Gioiosa Ionica e Petronà. Ai quali aggiungiamo il comune di Cirò Marina con l’arresto del sindaco Nicodemo Parrilla, presidente anche della Provincia (in senso amministrativo) di Crotone, nell’ambito della operazione Stige del 2018 che coinvolge pure la città di Parma.

Quanto alla diffusione delle attività criminali e del radicamento in Italia siamo purtroppo nel 2017 ben lontani dai semplici timori di vent’anni prima. La Direzione Antimafia certifica una presenza consolidata in Piemonte, Valle d’Aosta, Veneto, Trentino e Friuli, Emilia Romagna, Liguria, Toscana, Abruzzo e Molise, Lazio, Campania, Puglia e Basilicata. Persino in Sicilia opera la ‘ndrangheta, attraverso sinergie con cellule di Cosa Nostra riconducibili ai Santapaola o alla cosca Barbaro di Platì per il traffico di droghe. Si fa prima dire dove ancora la mafia calabrese non c’è o non è stata scoperta: Marche, Umbria e Sardegna.

A metà strada tra la prima e l’ultima relazione semestrale della Direzione Investigativa Antimafia ci sta dieci anni fa, nel 2008, la prima relazione della Commissione Parlamentare Antimafia che oggi attende il nuovo insediamento dopo le elezioni. Era già tempo allora di elevare la ‘ndrangheta a primo tumore mortale della criminalità organizzata in Italia. Il presidente della commissione on. Domenico Forgione lo fece con grande forza, usando toni da letteratura epocale e aprendo la sua relazione con un riferimento alla strage di Duisburg in Westfalia, dove nella notte tra il 14 e il 15 agosto 2007 sei persone vennero uccise in un regolamento di conti della ‘ndrangheta in trasferta in Germania. Scrisse Forgione aprendo quella relazione: “Con la strage di Ferragosto a Duisburg la Germania e l’Europa scoprono attoniti la micidiale potenza di fuoco e l’enorme potenzialità criminale di una mafia proveniente dalle profondità remote e inaccessibili di un mondo rurale e arcaico.

Il 15 agosto ha rotto un tabù, ma chi fosse stato attento ai segnali, agli indizi, alle crepe, avrebbe potuto dire anche prima che era solo questione di tempo. Se nel sottosuolo della civilizzazione europea circolano certi fluidi ribollenti e miasmatici, prima o poi questi fluidi salteranno fuori, non appena si produca una crepa nella superficie. La strage di Duisburg è stata come un geiser. Uno zampillo ribollente e micidiale che da una fessura del suolo ha scagliato verso l’alto, finalmente visibile a tutti, il liquido miasmatico e pericolosissimo di una criminalità che partendo dalle profondità più remote della Calabria, si era da tempo diffusa ovunque nel sottosuolo oscuro della globalizzazione.

La crepa nella superficie in questo caso viene da un altrove inquietante e nascosto, lontano nello spazio e lontano nel tempo”.

Lontano da Roma, forse. Non certo, purtroppo, da Reggio Emilia.

 

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