BRESCELLO: LA PIENA DIMENTICATA… PRIMA CHE ARRIVASSE

11 Dicembre 2018

Paolo Bonacini, giornalista

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Un anno fa, il 12 dicembre 2017, nel Comune di Brescello il fiume Enza in piena rompeva gli argini nella frazione di Lentigione invadendo le coltivazioni, l’abitato e la zona industriale. Centinaia di persone hanno vissuto e subìto la fase dell’emergenza, come riporta il Resto del Carlino il giorno dopo: “La strada che si trasforma in un fiume vorticoso, cortili che diventano laghi. E loro chiusi in casa a guardare dalla finestra”.

“Loro” sono marito e moglie che dopo una lunga attesa nei piani alti della abitazione, mentre l’acqua si porta via le auto parcheggiate, raccontano di essersi sentiti abbandonati: “Abitiamo a cinquanta metri da dove si è rotto l’argine. Alle 7,30 di mattina il paese era già tutto inondato. L’acqua è arrivata fino al secondo gradino delle scale. Nessuno ci ha avvisati del possibile rischio di un’esondazione. Possibile che non sia stata diffusa una minima preallerta tra i cittadini?”

La domanda chiama in causa gli amministratori del Comune e le forze di Protezione Civile. Non sono mancate le polemiche, nei giorni successivi, in particolare all’indirizzo dei tre Commissari Straordinari che guidavano l’Ente Locale ancora sotto tutela dopo lo scioglimento per mafia.

Ma cosa è successo realmente in quei giorni e perché la macchina dell’allerta/soccorsi non ha funzionato come ci si aspetterebbe in un paese notoriamente esposto al rischio idrogeologico delle piene?

Per rispondere vale la pena affidarsi ai documenti e agli atti ufficiali, dai quali sembra emergere una storia diversa, di buonsenso nell’emergenza e di responsabilità pregresse sul versante prevenzione.

Intanto è strano che la Commissione Straordinaria sia stata colta alla sprovvista o non sapesse cosa fare. Solo un anno prima, vista l’allerta della Protezione Civile lanciata il 26 novembre 2016 per la piena del Po, Michele Formiglio a nome dei tre Commissari aveva immediatamente decretato l’attivazione del COC di Brescello, il Centro Operativo Comunale. Erano stati informati tutti gli Enti, dalla Prefettura alla Provincia ai Comuni rivieraschi, e convocato presso la residenza Municipale il personale competente alla gestione dell’evento, dai Vigili del Fuoco ai Carabinieri, dalla protezione Civile alla Croce Azzurra. Alle 18 del 29 novembre, passata e gestita a dovere la piena, la Commissione decretava la fine dello stato di emergenza.

Un anno dopo però, quando la piena dell’Enza si fa minacciosa, non si può seguire la procedura standard dell’anno prima perché… la procedura non c’è. Non è contemplata per l’affluente del Po, ma solo per il Po. Lo si comprende leggendo i diversi documenti allegati alla delibera firmata il 10 maggio 2018 della Commissione Straordinaria e richiamato due settimane dopo dalla Gazzetta di Reggio con un titolo chiarissimo: “La piena dell’Enza? Non era prevista dai piani”.

Cosa significa? Significa, leggiamo dalla delibera, che a Brescello “il vigente Piano Comunale di Protezione Civile, approvato nel gennaio 2013 (sindaco era Giuseppe Vezzani), non contempla come possibile scenario di rischio idraulico per il comune quello derivante dalla esondazione del torrente Enza” e che di conseguenza nel dicembre 2017, quando l’Enza ha esondato, “non erano previste idonee e specifiche procedure e azioni condivise con la popolazione” per affrontare le diverse fasi di attenzione, allerta, emergenza. Dal 2013 in poi, dice ancora la delibera, non erano mai state attivate procedure di informazione alla popolazione e di gestione dell’emergenza anche quando il livello dell’Enza aveva superato le soglie del pre-allarme (7,90 metri) e dell’allarme rosso (9 metri) e non era mai stato attivato nemmeno il Centro Operativo Comunale. I tre Commissari si sono trovati dunque a gestire una fase di emergenza con rischi pesanti per gli abitanti della frazione di Lentigione, ma senza avere in mano gli strumenti operativi e decisionali per affrontarla adeguatamente. Ad esempio le procedure relative agli sfollati: come trasferirli, dove spostarli. Non stiamo parlando di una piccola famiglia che trova sistemazione ovunque, ma delle cinquecento persone che la mattina del 12 dicembre 2017 sono state comunque aiutate ed evacuate dalle abitazioni allagate.

La relazione inviata al Prefetto di Reggio Emilia il 30 dicembre 2017 dal Commissario  Giacomo Di Matteo racconta minuto per minuto cosa accadde e come si fronteggiò la situazione. L’11 dicembre Di Matteo, con l’Enza che cresce di livello, chiama l’Aipo, l’Agenzia Interregionale per il fiume Po, e convoca una riunione alle 15,00 presso la sala operativa dei volontari della Protezione Civile, assumendone il coordinamento. Nel pomeriggio la situazione resta stabile e alle 23,30 Di Matteo ritorna in sala operativa per restarci tutta la notte. Nuova riunione alle 2,00, dopo che il CCS (Centro di Coordinamento dei Soccorsi) della Prefettura reggiana aveva escluso concreti rischi di esondazioni per il territorio comunale. A quell’incontro in Prefettura aveva partecipato, per il Comune di Brescello, il Responsabile dell’Ufficio di Protezione Civile dell’Unione Bassa Reggiana.

“Alla luce di ciò” scrive Di Matteo “si è ritenuto opportuno non informare la popolazione per non creare situazioni di panico, stante anche l’assenza nel Piano Comunale di Protezione Civile di uno scenario esondativo riferito all’Enza”.

Alle 5,40 Di Matteo viene informato dall’ing. Bonini, presidente dei Volontari della Protezione Civile, che l’acqua deborda dall’argine in un punto di via Imperiale a Lentigione e si tenta di spostare i sacchi di sabbia per il contenimento dal ponte di Sorbolo, dove erano stati messi su indicazioni della Prefettura, al luogo indicato. Alle 6,15 Di Matteo arriva sul posto assieme all’ing. Bonini e 15 minuti dopo riceve una telefonata dall’ing. Vergnani dell’Aipo che lo informa del probabile cedimento dell’argine. “A quel punto” prosegue la relazione al Prefetto, “utilizzando i volontari che stavano venendo via dagli argini, la polizia e i carabinieri presenti, abbiamo lanciato l’allarme su quello che stava succedendo, a partire dalle abitazioni più vicine all’argine in rottura, raccomandando ai residenti di raggiungere i piani superiori delle abitazioni”.

Mancano pochi minuti alle 7,00 quando Di Matteo informa i colleghi Oriolo e Marchesiello che lo scenario si prospetta “drammatico” e i tre concordano di “fare di tutto per salvaguardare le vite umane rispetto ad uno scenario di esondazione ormai concreto con evidenti rischi per la pubblica e privata incolumità”.

Viene costituito formalmente il Centro Operativo Comunale e viene fatta convergere sul posto, d’intesa con la Prefettura, tutta “la forza pubblica necessaria per le operazioni di soccorso e di assistenza alla popolazione”. Cosa è accaduto dopo lo sappiamo. Le persone ai piani alti delle abitazioni hanno visto l’acqua invadere strade e campi, auto portate via dalla corrente. Hanno registrato danni pesanti alle cose, ma non ci sono state vittime. Cinquecento persone sono state in seguito aiutate ed evacuate nella mattina senza un ferito. Ma se nei minuti concitati dell’alba qualcuno avesse d’istinto spinto tutti ad uscire per scappare, forse oggi ricorderemmo i morti di quel giorno tra i gorghi della piena. I volontari, le forze di Protezione Civile e i Commissari che li guidavano, usarono allora buonsenso, esperienza e sangue freddo nel tentare di gestire l’emergenza con il minor danno umano possibile.

Oggi però è giusto chiedersi perché un piano di emergenza non fosse previsto nei minimi dettagli. Perché, nonostante l’Autorità di Bacino del fiume Po avesse inviato nel 2014 all’Amministrazione Comunale le nuove “Mappe di Pericolosità e del Rischio di Alluvioni” nel distretto, allegando anche lo “Schema di Progetto del Piano di gestione del Rischio”, con riferimenti diretti all’Enza e a Lentigione, tale piano non sia mai stato aggiornato. La nuova giunta allora era da pochi mesi sotto la guida del sindaco Marcello Coffrini ed era già attivo anche il Servizio  Associato di Protezione Civile presso l’Unione dei Comuni Bassa Reggiana, cui aderisce anche Brescello. Ha compiti e responsabilità importanti, conferiti dai Comuni, come la “Predisposizione dei piani comunali di emergenza, la cura della loro attuazione e l’aggiornamento sulla base degli indirizzi regionali”.

In quella lettera inviata il 12 agosto 2014 dall’Autorità di Bacino c’era scritto così: “L’esperienza passata ci insegna che se è impossibile scongiurare le alluvioni può essere tuttavia data una risposta soddisfacente alle richieste di sicurezza della popolazione residente attraverso una efficace politica di prevenzione dei rischi incentrata su: consapevolezza e informazione, regolamentazione dell’uso del territorio, predisposizione di piani di prevenzione e protezione.”

Quando la piena è arrivata, un anno fa, il piano per Lentigione non c’era e l’atto di indirizzo riguardante l’intero territorio comunale, compreso l’altro paese a rischio di Sorbolo Levante, lo ha predisposto la Commissione Prefettizia dopo lo scampato pericolo. La consapevolezza e l’informazione mancavano, come testimoniano gli stessi cittadini. La regolamentazione dell’uso del territorio era stata attuata senza considerare il rischio derivante dall’Enza. Eppure, nonostante “l’allarme rosso” per il fiume nel 2013 prevedesse solo un massimo di 9 metri, i picchi superiori a tale livello dell’acqua erano stati tantissimi, una ventina, nei due anni tra il 2013 e il 2015, con punte di undici metri e mezzo di profondità della piena. E con effetti presumibili, in caso di incidente, ovviamente molto più complessi e delicati.

Se qualcuno deve spiegare i ritardi a Brescello, di fronte al rischio alluvioni ed esondazioni, forse sarà bene andare un po’ indietro nel tempo.

 

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