LA QUARESIMA DI AEMILIA

10 Aprile 2017

Paolo Bonacini, giornalista

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Nelle udienze del processo cadute in tempo di Quaresima poca carità e ancor meno penitenza sono entrate nell’aula bunker del Palazzo di Giustizia. L’infinita esposizione di fatti e misfatti legati al terremoto del 2012 e alla contemporanea stagione delle interdittive antimafia ha portato semmai alla luce nuove conferme (frutto sia di testimonianze che di intercettazioni) della diffusa tolleranza verso pratiche poco lecite o illecite che la ‘ndrangheta ha sfruttato per i propri affari nei nostri territori. Martedì 4 aprile l’ex Prefetto di Reggio Emilia Antonella De Miro ha usato una espressione che da tempo non si sentiva per segnalare sfere di valori e comportamenti che dovrebbero essere antitetiche e mai sovrapporsi: stato e antistato. Dove per Stato si intende l’insieme delle convenzioni e delle azioni frutto di scelte collettive (e per questo democratiche) che governano la vita di tutti. Per Antistato al contrario l’insieme delle regole imposte da un gruppo (attraverso l’uso di forze brutali e arbitrarie quanto si vuole) per raggiungere obbiettivi che alla collettività portano solo danni. “O si sta di qua, o si sta di là” ha detto in sostanza il Prefetto De Miro, impressionata e turbata dalla presenza di avvocati, politici e giornalisti alla famosa cena nel ristorante “Antichi sapori” organizzata da uomini in odore di mafia. Il commento a caldo mandato alla stampa, dopo le parole della De Miro, dal più noto avvocato e politico presente a quella cena, Giuseppe Pagliani, è: “Non posso che condividere, con il senno di poi, alcune esternazioni del Prefetto… e proprio il fatto che la cena venne svolta in un luogo pubblico costituisce la prova evidente della mia buona fede in quella occasione, come già sostenuto nella mia tesi difensiva ampiamente accolta dal Tribunale di Bologna”.

Ricordiamo che Pagliani è stato processato e assolto in primo grado nel rito abbreviato di Aemilia e che a breve scatterà anche per lui il processo d’appello chiesto dalla Procura antimafia. Ciò detto, il ragionamento dell’esponente di Forza Italia si basa su di un presupposto tutto da dimostrare che possiamo riassumere così: “Io non sapevo che i Sarcone & C presenti a quella cena erano organici alla ‘ndrangheta, quindi non posso essere schedato nell’Antistato.  E se sto con lo Stato, non posso che concordare con le parole della De Miro”. Ma come abbiamo scritto il 15 dicembre in un precedente articolo, la sentenza di assoluzione per Pagliani non dice ciò che l’esponente politico vorrebbe. Il giudice dottoressa Zavaglia, che Pagliani cita sempre per ricordare giustamente di essere stato da lei assolto, sostiene anche nella sentenza: “E’ da escludere l’ipotesi sostenuta dalla difesa che Pagliani ignorasse la qualità criminale di Nicolino Sarcone, in quei mesi imputato nell’annoso processo Edilpiovra che lo vedeva accusato, tra gli altri reati, del delitto di cui al 416 bis (associazione di stampo mafioso) proprio davanti al Tribunale di Reggio Emilia”. Non poteva non sapere. La sentenza di primo grado assolve Pagliani dall’accusa di “avere concretamente contribuito alla realizzazione degli scopi della associazione mafiosa”, perché dopo quella cena si sono chiusi i rapporti e il progetto ipotizzato (voti in cambio di agevolazioni negli appalti) non si è realizzato. Ma, scrivevamo, “Pagliani è politicamente colpevole, anche secondo il giudice, di aver cercato accordi con personaggi mafiosi”. Di aver cercato cioè accordi con l’Antistato. E’ la cosa che ha turbato Antonella De Miro.

Così come l’ha turbata la presenza a quella cena di una giornalista che sostiene (lo ha detto l’interessata, Isabella Trovato, nella sua deposizione in aula) di non essere andata là perché interessata al tema delle interdittive o delle infiltrazioni mafiose, ma perché intenzionata a scrivere un libro “con taglio sociologico e antropologico” sugli imprenditori calabresi emigrati nelle nostre terre. La pecca, per un giornalista che si riconosce nello Stato, è probabilmente per la De Miro “non essere interessato” al tema delle interdittive. Nella deposizione in aula la giornalista ha detto di essersi posta la domanda: “Perché le interdittive a quelle imprese e non anche ad altre?”. E’ più o meno la stessa domanda che alcuni avvocati difensori hanno posto all’attuale prefetto di Palermo Antonella De Miro: “Perché le interdittive a Vertinelli, Bacchi, Amato, Vasapollo, ecc. e non anche alle cooperative che affidavano subappalti ai calabresi?” Trattandosi di provvedimenti che il Prefetto può attivare con un buon grado di discrezionalità, sarebbe forse più logico chiedergli conto delle interdittive emesse, NON di quelle “che avrebbe potuto emettere”. A meno che andare su quel terreno non serva per screditare o delegittimare. Per dire che anche chi rappresenta lo Stato può utilizzare metodi ed arbìtrii da Antistato. Ma percorrere questa strada nei confronti di Antonella De Miro parrebbe piuttosto azzardato e fuori luogo.

Altre novità, sempre scritte sul pericoloso confine tra il lecito e l’illecito, sono venute dai racconti dei carabinieri di Modena che tenevano marcati stretti con intercettazioni ambientali e telefoniche alcuni personaggi importanti come Giuseppe Giglio e Michele Bolognino. Si sono ritrovati tra le mani tutti gli affari sporchi legati alla ricostruzione post terremoto del 2012 e alla gestione di operai e carpentieri “al massimo ribasso”. Ne abbiamo ampiamente parlato, ma in una delle ultime udienze è stato piuttosto impressionante sentire una telefonata proposta in aula nella quale Bolognino parla con Lauro Alleluia, considerato dalla DIA un suo uomo e come lui rinviato a giudizio. Alleluia è una sorta di controllore dei cantieri e un giorno ritira dalla Bianchini Costruzioni srl, della quale formalmente i lavoratori sono dipendenti (in realtà, dicono le indagini, rispondono a Bolognino e da lui vengono mal-pagati) i buoni pasto per gli operai. E poi li distribuisce agli stessi operai! Cosa normale, viene da dire a chi vive in uno Stato di diritto, ma non altrettanto per le imprese che rispondono alle leggi della ‘ndrangheta. Bolognino si arrabbia ed intima ad Alleluia di farsi restituire immediatamente i buoni pasto distribuiti e siccome due operai si lamentano l’ordine ad Alleluia è senza appello: “O te li ridanno indietro, o li licenziamo immediatamente. Se hanno fame il mangiare se lo portano poi da casa”. Siamo alla violenza pura, benchè senza pistole.

Ha fatto altrettanta impressione udire le parole di una intercettazione che coinvolge Gianni Floro Vito, l’uomo incaricato di monetizzare attraverso i conti correnti postali i soldi frutto delle attività illecite della cosca, e la direttrice di PosteImpresa Reggio Loretta Medici. Il maresciallo D’Agostino sostiene che le indagini su Floro Vito (attualmente in carcere e a processo) hanno evidenziato movimentazioni di denaro per oltre un milione e mezzo di euro, ma quel giorno che si rivolge alla Medici chiedendo di poter avere in fretta del contante gliene bastano 27mila, di euro. Lei gli dice di non averli, poi li trova, e intanto trova anche il tempo di ringraziarlo al telefono perché ha molto apprezzato “il trattamento estetico gratuito” di cui ha goduto presso il centro “Paris” di Arceto di Scandiamo (che Floro Vito controlla attraverso una prestanome). Qualcuno ricorderà la testimonianza in aula della Direttrice nel settembre 2016: questo ringraziamento non era emerso. Viene da chiedersi: gli artigiani, le piccole imprese, i cittadini e i pensionati che si riconoscono nello Stato e non pensano che sia necessario offrire trattamenti estetici gratuiti per avere in cambio un rapido ed efficiente servizio da uno sportello postale, possono stare tranquilli?

Buon Stato di Diritto e Buona Pasqua a tutti.

 

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