IL TERREMOTO

13 Marzo 2017

Paolo Bonacini, giornalista

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Il 20 maggio 2012, alle quattro di notte, la terra trema in Emilia Romagna per 18 secondi. E’ una forte scossa di magnitudo 5,9 con epicentro nel comune di Finale Emilia che si avverte in tutto il nord Italia e provoca crolli e distruzioni. Lo sciame sismico continua per molto giorni e il 29 maggio alle nove di mattina c’è una violenta replica con altri crolli e macerie sulle macerie. Alla fine si contano 27 morti, centinaia di feriti, quindicimila sfollati.

Parte la grande macchina dell’emergenza, della solidarietà, della messa in sicurezza e della ricostruzione. Partono i lavori e girano i soldi. Ai quali, secondo le indagini e le intercettazioni della Direzione Distrettuale Antimafia, sono interessati anche personaggi di spicco della ‘ndrangheta emiliana: Michele e Sergio Bolognino, Giuseppe Richichi, Gaetano Blasco, Antonio Valerio, Giuseppe Giglio. In questo non c’è nulla di strano, come sottolinea la stessa Procura: “L’esperienza italiana, recente e meno recente, insegna che una delle insidie più subdole è costituita dalle infiltrazioni mafiose nelle opere di ricostruzione; si tratta infatti di un pericolo occulto che, insinuandosi nelle maglie larghe della legislazione emergenziale, va ad aggredire il tessuto economico di un territorio particolarmente indebolito dagli effetti devastanti del terremoto attraverso l’inquinamento di settori economici come l’edilizia e l’autotrasporto, punti di forza delle organizzazioni mafiose.”

Di strano, anzi di paradossale, c’è il fatto che la ‘ndrangheta non sia stata la promotrice dell’illegalità e degli affari sporchi, ma sia arrivata seconda, superata e battuta in velocità dall’imprenditoria locale e formalmente sana. Da aziende e imprenditori emiliani doc, approdati ben prima della cosca calabrese a riempirsi le tasche di soldi sulla pelle delle vittime del terremoto. Con un risvolto addirittura clamoroso: è Michele Bolognino, oggi in carcere e imputato di Aemilia con la pesante accusa di essere uno dei sei capi della ‘ndrangheta in regione, a mostrarsi infastidito alla fine del 2012 per i guai giudiziari che interessano l’impresa modenese alla quale fornisce i propri uomini. Non viceversa!

L’impresa in questione è la Bianchini Costruzioni srl di Augusto Bianchini, modenese di nascita e di residenza, che fa man bassa di appalti e subappalti nella ricostruzione. Non li ottiene per grazia divina ma per l’impegno quotidiano di comuni mortali che svolgono e rappresentano funzioni pubbliche, partiti, cooperative, organi dello Stato. Bianchini può contare sul loro rapido ed efficace intervento quando c’è bisogno di agire, sulla loro tolleranza e cecità quando le procedure sono irregolari.

Nonostante ciò l’azienda a pochi mesi dal terremoto si vede arrivare addosso due tegole pesanti come macigni. La prima è l’avvio di accertamenti da parte della Procura di Modena sul ritrovamento di materiale nocivo, amianto, nei cantieri in cui opera. La seconda è la esclusione della Bianchini Costruzioni dalla White List istituita presso la Prefettura di Modena. La vicenda finisce sui giornali ed è questa la cosa che non piace a Bolognino e compagni, i quali preferirebbero continuare a gestire lontano da orecchie e occhi indiscreti gli affari comuni. O per meglio dire le porcherie comuni, di cui sono vittime prima di tutto i lavoratori. Michele Bolognino e i suoi amici ne forniscono una dozzina (di operai e carpentieri) alla Bianchini Costruzioni, che li assume a tempo determinato per 23 euro l’ora, con buste paga finte che non superano mai i mille euro per consentire il pagamento in contanti ed evitare la tracciabilità del denaro. Tutto sulla carta.

In realtà agli operai che lavorano sette giorni su sette Bianchini non paga nulla e loro quei 23 euro l’ora se li sogneranno. I soldi (decine di migliaia di euro) la società modenese li passa al collega “imprenditore” della ‘ndrangheta Giuseppe Giglio che emette false fatture; da Giglio arrivano a Gianni Floro Vito che li versa su Postaimpresa a Reggio Emilia e in poche ore se li fa trasformare in banconote dalla sempre disponibile direttrice Loretta Medici. I contanti arrivano infine a Bolognino che salda i conti con chi ha lavorato. Dal compenso vero saranno tolti i soldi della cassa edile, dei buoni pasto, di false visite mediche, del riposo settimanale, della nafta per i camion usati nei cantieri, dell’indennità di mancato preavviso per chi si lamenta e viene licenziato. Buona parte dello stipendio mensile, almeno mille euro, finisce in tasca ai criminali, il resto (una parte in nero) è il gettone per chi ha sudato nei cantieri. E se le proteste salgono di tono, si passa alle intimidazioni e alle minacce.

Altro che dignità del lavoro: durante la ricostruzione gli operai sono una merce di bassa qualità che si compra a poco prezzo sul mercato nero della ‘ndrangheta.

Basterebbe questo pezzo di storia, consumata all’ombra dei drammi e degli enormi problemi generati dal terremoto, a schifare le coscienze normalmente oneste di chi pensa che si possa anche vivere senza rubare e commettere violenze. Ma c’è dell’altro, e forse peggio, che emerge dal processo Aemilia e dai testimoni ascoltati in aula nelle due udienze del 6 e dell’8 marzo 2017.

La Bianchini Costruzioni riceveva appalti per le opere di urbanizzazione post terremoto direttamente dal comune di Finale Emilia. Tanti appalti, alla faccia della “rotazione delle imprese” che il sindaco di allora Fernando Ferioli sostiene in aula di avere chiesto al Responsabile dei Lavori Pubblici del municipio: Giulio Gerrini. E’ lui il santo protettore di Bianchini. Alla impresa di San Felice sul Panaro assegna i lavori diretti di cui può disporre il Comune per diversi lotti.  Parliamo di milioni di euro di cui Bianchini potrebbe anche accontentarsi, ma la sua azienda è fortunata e riceve altre commesse in subappalto sulle opere assegnate dalla Regione.

Il colosso cooperativo CMC di Ravenna (a quel tempo sotto indagine per una presunta truffa da 150 milioni al porto di Molfetta) le affida parte dei lavori per le nuove scuole di via Rovere. E’ lo stesso cantiere sul quale Gerrini apre una gara per le urbanizzazioni invitando 5 imprese e dando quattro giorni lavorativi di tempo (quattro!) per la presentazione dei progetti. Se ne presenta una sola, la Bianchini, che secondo la Direzione Antimafia aveva già pronta la documentazione prima ancora della pubblicazione del bando. I consulenti esperti di gare, sentiti in Tribunale, sostengono che i quattro giorni lavorativi sono un tempo assolutamente inadeguato per la preparazione del complesso dossier necessario alla gara strutturata sulla “migliore offerta economica”.

La grande cooperativa reggiana Unieco (oggi in concordato e in bilico tra liquidazione e smembramento) affida sempre alla Bianchini srl parte dei lavori per il nuovo municipio e il nuovo magazzino comunale. Commessa da 2,6 mlioni di euro, che fa sorridere e ironizzare l’assessore ai lavori pubblici Angelo D’Aiello intercettato in amichevole conversazione con Bianchini e Gerrini. L’ironia (non la rabbia, non l’indignazione!) nasce dal fatto che Unieco affida il subappalto alla Bianchini Costruzioni “dopo” che è divenuto di dominio pubblico lo scandalo dell’amianto. Materiale altamente nocivo e pericoloso è stato rinvenuto nelle pavimentazioni e nelle aree di intervento della Bianchini Costruzioni post terremoto: due campi di accoglienza a Finale Emilia e Massa Finalese, tre aree vicino al cimitero, alla caserma dei Vigili del Fuoco e ad un capannone industriale di San Felice sul Panaro, quattro aree destinate ad ospitare scuole primarie e secondarie (i nostri figli!) a Concordia sul Secchia, Mirandola, Finale Emilia e Reggiolo. L’appalto per la scuola di Reggiolo, per inciso, l’aveva vinto la regina delle cooperative di costruzione Coopsette (in liquidazione coatta dall’ottobre 2015) che a sua volta ha girato il subappalto alla Bianchini Costruzioni srl. Sindaco di Reggiolo era allora Barbara Bernardelli, che secondo i verbali di Aemilia intervenne con forza e tempestività nell’imporre la rimozione dei materiali nocivi, mostrando un rigore ben diverso, dicono sempre gli atti del processo, da quello del più tollerante sindaco di Finale Emilia. E’ bene ricordare a questo punto che entrambi i sindaci erano sostenuti dal PD e che Barbara Bernardelli non si è ricandidata alle amministrative del 2014, dopo aver ricevuto critiche dal suo partito a Reggio Emilia sui cinque anni di mandato, mentre nell’aprile 2016 il PD di Modena era pronto a ricandidare Fernando Ferioli a Finale Emilia, nonostante i guai giudiziari che avevano travolto il Municipio. “Per consentirgli”, diceva una nota, “di portare a compimento l’opera della ricostruzione”.

Il responsabile della protezione civile del comune, Marco Cestari, racconta in aula con molta emozione di quando andò dal sindaco Ferioli a raccontargli una conversazione che lo aveva sconvolto, ascoltata nel capannone dove si erano trasferiti gli uffici dopo i crolli del terremoto. Si sentiva tutto, perché le pareti non arrivavano al soffitto, e nella stanza vicina Gerrini discuteva con Giuseppe Silvestri, responsabile comunale per la valutazione dei premi ai dirigenti (e contemporaneamente, in conflitto d’interessi, anche nuovo presidente della Bianchini Costruzioni dopo l’esclusione dalla White List). “Mentre c’era l’emergenza terremoto lui stava al mare in vacanza nella sua villetta” dice Cestari, “tornava solo per riscuotere il compenso”. E venne quel giorno a discutere con Gerrini di come spacchettare in due un appalto da 84mila euro per consentire alla società IOS di Alessandro Bianchini, figlio di Augusto, appena nata e priva dei requisiti di legge per partecipare alle gare, di portare a casa con affidamento diretto soldi e lavori. Per rassicurare Gerrini, Silvestri disse: “Domattina mi vedo con Ventura in Prefettura, vedrai che risolviamo tutto”. Mario Ventura è il Capo di Gabinetto della Prefettura di Modena; è a lui che telefonava il senatore Carlo Giovanardi per sostenere la causa della riammissione di Bianchini Costruzioni srl alla White List. Marco Cestari andò a raccontare tutto questo al sindaco, ma Ferioli in aula neppure ricorda cosa gli disse. E non fece nulla allora per censurare Gerrini e Silvestri. Anzi, qualcosa lo fece: incontrò Alessandro Bianchini con Gerrini e diede il disco verde ai lavori, perché “le colpe dei padri non ricadano sui figli”, dice ai giudici in aula l’8 marzo.

Di cose sbagliate, illeciti, violazioni, interessi privati in atti pubblici, affari sporchi, la storia del comune di Finale Emilia in quei mesi è piena, dicono Carabinieri e Procura. Documentazioni amministrative che non esistono, date cambiate sulle relazioni di fine lavori per farle risultare consegnate anzitempo e pagarle, frazionamenti privi di ragione e logica, sopralluoghi nei cantieri fatti da imprese prima dell’assegnazione lavori, subappalti attivati senza il preventivo assenso del Comune, pagamenti autorizzati nonostante il parere contrario dei dirigenti responsabili, tecnici delle aziende private che preparano i documenti di competenza del Comune, una società che riceve il primo appalto pubblico solo quattro giorni dopo essere stata costituita. Il guadagno di Gerrini, che governa tutto il sistema, è semplice. Il Comune riconosce ai responsabili dei settori impegnati nella ricostruzione un premio del 2% sul monte lavori. Poiché chi assegna è Giuseppe Silvestri e poiché Giulio Gerrini riassume in sé tutte le cariche interessate, il premio sarà solo suo. “Dopo averlo ricevuto comprerà una barca da diporto lunga 10 metri”, spiega il maresciallo dei Carabinieri Guido Costantino. E’ il primo a parlare del caso in Tribunale, poi è la volta dei dipendenti comunali: l’informatico Davide Cavallari, la responsabile finanza ed economia Cinzia Baravelli, il segretario comunale Monica Mantovani, l’architetto Sanja Covic. E infine il sindaco Fernando Ferioli. Il quadro che esce è sconfortante:

a) Se qualcuno sopra di me mi ordina di fare una cosa, la faccio e taccio.

b) Se qualcuno al pari a me commette un illecito, non è compito mio denunciarlo.

c) Se qualcuno sotto di me mi segnala un illecito, faccio finta di non averlo ascoltato.

A queste tre regole dell’omertà e dell’obbedienza si sono ribellati a Finale Emilia un consigliere comunale e il capo servizio della protezione civile Marco Cestari, che venne messo “con le spalle al muro” e rimase inascoltato. Nella sala del Consiglio l’altra voce fuori dal coro è quella di Maurizio Poletti della Lega Nord, che nella seduta del 29 gennaio 2014 denunciò tutte le irregolarità, prima che Aemilia le rendesse note. Tra le altre cose si era annotato: “Di 70 determine per lavori riguardanti la Bianchini Costruzioni, 44 contenevano richieste postdatate e per 26 non c’era neppure la richiesta.”

Può bastare?

p.s. Giulio Gerrini è stato condannato nel rito abbreviato di Aemilia a due anni e quattro mesi; Giuseppe Richichi a dieci anni. La famiglia Bianchini (Augusto, la moglie Bruna Braga, i figli) è a processo nel rito ordinario. Nel gennaio 2016 la commissione incaricata del caso decise che il Comune non andava “sciolto per mafia”. Nel giugno 2016 i cittadini del paese votarono come nuovo sindaco Sandro Palazzi della Lega Nord che prese il 62,75% dei voti, il doppio del PD. L’ex sindaco Fernando Ferioli non è indagato in Aemilia. Prima di essere colpito da altre vicende giudiziarie, e costretto a ritirarsi, si era detto pronto a ricandidarsi e a tenere salda “la barra del timone a dritta”.

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