E LA DROGA, DOV’E’?

10 Gennaio 2017

Paolo Bonacini, giornalista

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Qualche chilo di hashish, un etto di marjuana, uno di cocaina. Valori che non superano i 10mila euro. Al processo Aemilia sembra mancare il grande mercato degli stupefacenti, eppure il narcotraffico infetta il PIL e si insinua come un tumore nell’economia legale. Una torta da oltre 2 miliardi di euro l’anno nella sola Emilia Romagna, con la ‘ndrangheta a guidare i giochi. 

L’anno nuovo, il 2017, si apre al processo Aemilia parlando di droga. Il 5 gennaio è chiamato a testimoniare Kostantinos Minelli, che nella primavera del 2016 è stato condannato a sei mesi di reclusione e 1200 euro di multa, con la sospensione della pena, per il reato di detenzione e spaccio. E’ un ragazzo di Casalmaggiore che parla un buon italiano. Consumatore di hashish, per rifornirsi è entrato in contatto con Giuseppe Richichi detto Andrea, nelle cui mani secondo la sentenza del rito abbreviato passavano le operazioni di maggior impatto della ‘ndrangheta emiliana sul versante “traffico di stupefacenti”. Anche la compagna di Richichi Yana Rezepova, russa di origine residente a Forlì, e la ex fidanzata lettone Tatjana Tihamirova, di Montecchio, sono professioniste del ramo e si sovrappongono nelle intercettazioni dei carabinieri che risalgono ai primi mesi del 2012. La prima ci tiene a sapere se Kostantinos ha pagato:

“Tutto a posto?”

“Tutto a posto la Madonna… era senza soldi!” le risponde Giuseppe.

La seconda è preoccupata per il futuro dell’ex:

“Basta che tu stai fuori, eh!.. Basta che non ti chiudono…” Sottinteso: in galera.

Quella di Kostantinos Minelli è una storia abbastanza comune: incontri in pizzeria, un amico che ti presenta suoi amici, appuntamenti presso distributori di benzina alle uscite dell’autostrada. Piccoli quantitativi di droga, dieci grammi, venti, forse quaranta una volta, al prezzo di sei/otto euro a grammo. Non fanno grandi cifre ma non sempre si hanno i soldi per pagare e allora ci si inventa venditori. “La compro ad un certo prezzo” dice Kostantinos ai giudici “e la rivendo al prezzo che voglio”. E’ così che si finisce nella rete della cosca ed è così che si finisce anche alla sbarra perché i carabinieri, in questo caso di Casalmaggiore e di Modena, registrano le telefonate, intercettano le conversazioni, traducono il vocabolario degli spacciatori: tre significa tremila euro, andare a cena vuol dire concludere la vendita, il salamino è troppo piccante perché l’hashish è duro. E se la partita di droga è di qualità molto scadente, si dice con molta fantasia che non sono nemmeno buoni i copertoni. Un’altra espressione che usa Richichi è “Il geometra”, da intendersi come “una persona di grado più elevate alla quale io debbo rendere conto”. Chi è?

La Direzione Distrettuale Antimafia indica Franco Bolognino e il fratello Michele, ritenuto uno dei sei capi della cosca emiliana, come i punti di riferimento per Giuseppe Richichi anche nella gestione del traffico di stupefacenti. Anche significa che Richichi, per Michele Bolognino, era molto più di uno spacciatore. Era il suo “factotum e guardaspalle”, dice la sentenza del rito abbreviato che lo condanna a dieci anni di carcere più due di libertà vigilata. “Gli faceva da autista, custodiva le armi e le munizioni, aveva stabilito la propria dimora nel suo capannone e Bolognino gli affidava compiti importanti come l’infiltrazione nei lavori post terremoto attraverso lo sfruttamento della manodopera”.

Michele Bolognino, imputato di Aemilia, assiste all’udienza in videoconferenza dal carcere dell’Aquila dove è attualmente richiuso, ma forse questa storia non gli provoca particolari emozioni. Perché è la droga nel suo complesso ad apparire una colpa quasi marginale nel processo. Quando i carabinieri il 20 gennaio 2012 fanno irruzione nella casa di Minelli, dove alle dieci di sera è previsto un incontro con Richichi, trovano solamente due grammi di hashish e 11 piantine di marijuana nascoste in soffitta. Più in generale le indagini di Aemilia hanno accertato lo spaccio di hashish per diversi piccoli quantitativi che sommati non raggiungono un chilo di peso e per una partita unica di 10 chili sulla quale Richichi contava di guadagnare 1000 euro dalla rivendita a piccoli spacciatori dei comuni reggiani della pedecollina. La marijuana intercettata non arriva a cento grammi. Di altre droghe si parla in una sola vicenda che coinvolge la barista reggiana Debora Costa e il correggese Gabriele Valerioti, fidanzati e amici di Nicolino Sarcone, rinviati a giudizio per lo spaccio di cento grammi di cocaina. Il valore complessivo della merce intercettata da Aemilia fatica a superare i 10mila euro al dettaglio; i personaggi coinvolti si contano sulle dita di due mani e sembrano vestire i panni delle comparse più che dei protagonisti. Troppo poco, se pensiamo alle dimensioni del mercato delle droghe (che pesa migliaia di tonnellate e non centinaia di grammi) e al ruolo preponderante della ‘ndrangheta in questa attività, come bene illustra l’ultima relazione annuale della Direzione Nazionale Antimafia e Antiterrorismo: “Le parabole storiche della ‘Ndrangheta e di Cosa Nostra sono esemplari: la mafia calabrese, insediatasi stabilmente ai vertici del sistema che governa l’importazione della cocaina in Europa a partire dalla seconda metà degli anni Novanta è divenuta, scalzando Cosa Nostra, di gran lunga l’organizzazione criminale italiana più potente ed influente”.

L’ufficio dell’ONU per il contrasto alla diffusione delle droghe stima nel 2016 il numero dei consumatori al mondo sui 300 milioni, un quarto dei quali concentrato tra Europa e Nord America. Secondo l’Osservatorio Europeo delle Droghe e delle Tossicodipendenze mettendo assieme cannabis, cocaina, anfetamina, ecstasy e oppiacei, siamo ad una percentuale, nell’ultimo anno, dell’8,2% di consumatori sull’intera popolazione compresa tra i 15 e i 64 anni del Vecchio Continente: quasi uno su dieci degli adulti da noi si droga.

Le dimensioni economiche non sono meno impressionanti. Il mercato mondiale muove 560 miliardi di euro: un mare sommerso di denaro al quale si aggiunge quello purtroppo emerso dei costi sanitari, sociali e di vite umane scatenati dalle tossicodipendenze. La sola Italia vanta un fatturato diretto pari a 30 miliardi, circa il 2% del PIL. E’ più o meno il valore, per capirci, dell’intera produzione agricola nazionale, con una differenza e aggravante non trascurabile: i margini di utile. Quelli del commercio di droga sono pari al 90% del fatturato complessivo: un surplus, dice la DDAA, che non ha eguali in nessun comparto economico e che viene costantemente reinvestito “in settori economici, finanziari e criminali che nulla hanno a che vedere con gli stupefacenti stessi”.

Fermiamoci allora un momento a pensare cosa è successo in Emilia Romagna da quel gennaio del 2012 ad oggi: da quando i carabinieri di Casalmaggiore hanno scoperto 11 piantine di marjuana in casa Minelli a quando, prima dei botti di san Silvestro 2016, è stata venduta l’ultima busta di cocaina in regione. Cinque anni con un fatturato medio annuo (che supponiamo stabile anche se in realtà cresce) di 2 miliardi e 250 milioni di euro (il 7,5% del valore nazionale, come la popolazione, anche se in realtà nelle regioni ricche si consuma di più).

Fa in totale 12,5 miliardi di euro. Togliamo il 10% di costi, togliamo un 10% sperperato o distribuito per arricchire le cosche, togliamo anche un 10% che immaginiamo vada perso grazie alla costante azione repressiva delle forze dell’ordine e alle sentenze che mandano in galera gli spacciatori. Resta comunque un bottino di quasi 9 miliardi di euro che in questi ultimi cinque anni, nella sola Emilia Romagna, ha incrementato il già consistente patrimonio di titoli, partecipazioni, case, terreni, aziende, ecc. ecc. in mano alla criminalità organizzata.

Senza escludere che una piccola parte di quei soldi, magari solo le cedole degli investimenti, siano serviti per comprare anche persone, oltre che cose.

Tutto questo vuol dire che (lo dice la Direzione Nazionale Antimafia parlando dell’Italia) “sulla base dei numeri, e non di opinioni, la casta dei narcotrafficanti, con i suoi riciclatori, i suoi esperti di finanza e di economia, è diventata uno dei principali azionisti dell’economia lecita che opera alla luce del sole. E lo stock di azioni dell’economia legale dovuto all’economia criminale è destinato a crescere progressivamente”.   

Tanto più da noi, viene da aggiungere, dove opera e reinveste la ‘ndrangheta calabrese che in Europa, assieme a “camorra, mafia albanese, turca e bulgara, poste ai crocevia delle diverse rotte, ha assunto una posizione centrale nello scacchiere del narcotraffico grazie a diversi fattori: la presenza dei suoi uomini (spesso latitanti) nei luoghi di produzione, la sua notoria affidabilità e solvibilità finanziaria, la possibilità di poter contare su strutture di appoggio sparse in tutto il mondo, dall’Australia a Gioiosa Jonica, dal Canada alla Germania, da Milano ad Amsterdam”. E, perché no, da Reggio Emilia a Piacenza, da Modena a Ravenna passando per Bologna…

Di fronte a questi dati impressionanti possiamo restare fermi a guardare. Aspettare i prossimi arresti, sperare che un bel giorno i procuratori antimafia ci regalino un nuovo Aemilia Drug, con i padroni del narcotraffico alla sbarra. Oppure possiamo muoverci; prendere coscienza del fatto che il problema non è solamente giudiziario e fare qualcosa. Ma cosa? E’ ancora la Direzione Nazionale Antimafia e Antiterrorismo ad indicarci la strada:

“E’ necessaria una scossa perché si determini un reale mutamento delle cose. Una scossa che richiede una diversa sensibilità culturale e vivacità intellettuale. E’ necessario che chi opera nelle istituzioni politiche metta da parte slogan e comode e rudimentali posizioni preconcette che si ritiene comportino una certa rendita elettorale, pescando in questa o quell’area dell’opinione pubblica, e invece si interroghi (e soprattutto dia risposte) su quali misure concrete possano determinare, realisticamente, una inversione del trend anche se, nel breve periodo, non sono in grado di garantire un immediato consenso ed un rapido ritorno politico/elettorale”.

Parole che vanno sparse in tutta Italia, da Catanzaro a Milano, passando per Roma. E, perché no, da Reggio Emilia a Piacenza, da Modena a Ravenna passando per Bologna…
p.s. La sensibilità culturale e la vivacità intellettuale la mostrano coloro che vengono ad assistere alle udienze di Aemilia. Il 5 gennaio, nonostante fosse giorno di vacanza scolastica, c’erano in aula alcuni studenti del liceo Formiggini di Sassuolo, del cui impegno abbiamo già parlato. E c’erano anche i genitori di uno di loro. I primi “genitori”, speriamo non gli ultimi, incontrati dall’inizio delle udienze. C’erano pure, come sempre, i volontari di Libera, e c’erano anche una ventina di delegati sindacali della FLC di Reggio Emilia, guidati dalla segretaria Elvira Meglioli. L’acronimo sta per Federazione Lavoratori della Conoscenza: è il sindacato lavoratori della scuola aderente alla CGIL, che offre un buon esempio del valore della Conoscenza.

SCRIVETECI! cgilrelegalita@er.cgil.it

di Paolo Bonacini


Leggi i commenti

SUL MERCATO DELLA DROGA
Riceviamo e volentieri pubblichiamo.
Gian Franco Riccò, ex segretario della CdL di Reggio Emilia:

Caro Paolo,
come sai anch’io non ho mai creduto che la ‘ndrangheta reggiana sia fuori dal mercato della droga, però è vero, come tu scrivi, che a parte qualche riscontro marginale come quelli emersi al processo Aemilia non si è trovato per ora nulla di importante da accostare al narcotraffico. Ricordo solo la notizia (di tre o quattro anni fa) di una operazione dei carabinieri di Crotone sulla costituzione di un gruppo tra cui Grande Aracri e altri mafiosi crotonesi (con la presenza anche di un boss reggino) che tra le altre cose avevano o volevano il monopolio dello spaccio in quella provincia. Se tanto dà tanto, per la nostra provincia ci deve essere qualcosa sotto, magari una divisione del lavoro tra ‘ndrine operanti al nord. Comunque la ‘ndrangheta a Reggio Emilia è arrivata per vendere droga fin dagli anni ’70. Ci sono testimonianze dirette di alcuni ‘ndranghetisti e lo stesso boss di Cutro Antonio Dragone, poi fatto uccidere da Grande Aracri, era impegnato nel mercato degli stupefacenti. E’ incredibile che poi gli “eredi” l’abbiano dimenticato qui da noi, sebbene se ne ricordino a Crotone.

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