IL CASINO’ DELLA ‘NDRANGHETA
Paolo Bonacini, giornalista
Giovedì 20 aprile 2017, in un pomeriggio che sembra privo di spunti clamorosi al processo Aemilia, il maresciallo del nucleo investigativo dei Carabinieri di Modena Emidio D’Agostino sta elencando una serie di riscontri, effettuati dal suo reparto operativo, sulle dichiarazioni rese alla Direzione Antimafia e poi nella testimonianza in aula dal collaboratore di giustizia Giuseppe Giglio. I banchi del pubblico sono vuoti, gli avvocati difensori alla apparenza annoiati. Solo la dottoressa Beatrice Ronchi, che conduce l’interrogatorio, interrompe di tanto in tanto il maresciallo chiedendo dettagli. Poi ad un certo punto, verso le 17, i pochi presenti puntano le orecchie verso gli altoparlanti che diffondono la voce del maresciallo. D’Agostino sta dicendo che Michele Bolognino e Nicola Rocco Femia nel 2012 si sono incontrati al Garda Village di Peschiera parlando, emerge dalle intercettazioni, della possibilità di aprire un casinò a Desenzano Del Garda. Nello stesso incontro Bolognino invita Femia alla inaugurazione del ristorante “Il Cenacolo del Pescatore” a Montecchio Emilia, prevista per il 26 giugno dello stesso anno. E Femia accetta.
Per comprendere l’importanza di questo incontro è necessario mettere a fuoco i due personaggi e le due location: Bolognino, Femia, il “Garda Resort Village” e il “Cenacolo del Pescatore”.
Michele Bolognino è imputato al processo Aemilia in tribunale a Reggio. E’ l’unico dei sei “Capi” (così definiti negli atti di rinvio a giudizio) della ‘ndrangheta emiliana legata ai Grande Aracri a non aver scelto il rito abbreviato. E’ anche l’unico, di conseguenza, a non essere stato condannato, benchè segua il processo in videoconferenza dal carcere di Aquila dove è rinchiuso dal gennaio 2015 in regime 41 bis.
Nicola Rocco Femia è già stato condannato invece il 22 febbraio scorso dal Tribunale di Bologna a 26 anni e 10 mesi al termine del processo “Black Monkey”. E’ considerato il capo supremo di una organizzazione mafiosa operante in Emilia Romagna che faceva soldi con il gioco d’azzardo, on line e nei bar, utilizzando siti esteri e schede alterate per eludere i prelievi dovuti allo Stato. All’attivo aveva già una condanna definitiva a 23 anni per narcotraffico. Il “Re delle slot”, come viene chiamato, è originario di Marina di Gioiosa Jonica, comune sulla Costa dei Gelsomini in provincia di Reggio Calabria. Nel 2002 è costretto a cambiare mare e si trasferisce in provincia di Ravenna per scontare un provvedimento con obbligo di firma. I suoi legami con potenti famiglie della ‘ndrangheta e della camorra sono ben documentati dagli articoli scritti per la Gazzetta di Modena da Giovanni Tizian, al quale si riferisce Guido Torello (concorrente esterno della cosca) nella famosa telefonata con Femia in cui dice: “Gli faccio sparare in bocca”.
Una settimana prima della condanna di Bologna Femia ha chiamato la Direzione Antimafia dicendosi pronto a collaborare, a vuotare il sacco. E le parole di un potente boss autonomo, proprio per questo capace di costruire affari con tutti, potranno aggiornare con nuovi dettagli la mappa delle penetrazioni mafiose al nord.
Bolognino e Femia si incontrano dunque in un complesso turistico sul lago di Garda che il maresciallo D’Agostino chiama “Garda Village”, mentre Giuseppe Giglio, il collaboratore di giustizia del processo Aemilia, lo chiama “Garden Village” nell’interrogatorio dell’11 luglio 2016, rispondendo alle domande del procuratore Beatrice Ronchi e dello stesso maresciallo D’Agostino. Di Garda Village ce n’è più di uno sulle rive del lago, di Garden Village nessuno. Ma Giglio offre un elemento in più per identificare il locale: c’era anche Mauro Prospero. E’ un imprenditore di Peschiera del Garda che risiede a Monzambano, in provincia di Mantova. Gestisce cave, movimenta sabbia e ghiaia; attività di famiglia che impara dal padre Ermes. I Prospero scavano a Villafranca, a Sommacampagna, a Valeggio sul Mincio, a Pozzolo, con oltre un milione di metri cubi di estrazioni autorizzate nel solo 2012. Il problema è che Mauro molta di quella sabbia e ghiaia la vende in nero, secondo quando dice Giglio, all’insaputa del padre (ma intanto il padre, sempre secondo Giglio, scambiava false fatturazioni con Antonio Muto, forse all’insaputa del figlio). Mauro vendeva la ghiaia allo stesso Giglio, che poi la rivendeva a camionate, in nero naturalmente, arricchendosi nei fine settimana in giro per i cantieri dell’Emilia (ne abbiamo parlato nell’articolo “La ghiaia era nera”). Ma Prospero la vendeva anche ad altri, ad esempio a Salvatore Muto, che diventa così debitore nei suoi confronti di alcuni carichi non pagati (presumibilmente per 150/200mila euro). Prospero chiede allora aiuto per riscuotere il credito a Michele Bolognino che fa intervenire addirittura Nicolino Grande Aracri, la cui sentenza è secca: Muto deve saldare il debito. Ma a complicare le cose ci si mette Gianni Floro Vito detto Giuseppe, che abbiamo già incontrato a monetizzare in Posta a Reggio Emilia i proventi illeciti della cosca. Lui, che al Garda Village ci passa “una settimana ospite di Mauro Prospero”, dice Giglio, si rivolge per lo stesso motivo ad un altro capo, Francesco Lamanna, che però si ferma quando sa che si è già mosso Michele Bolognino, che però dovrà fare i conti con Ernesto Grande Aracri, che quando suo fratello Nicolino viene arrestato cambia la decisione in favore del suo amico Salvatore Muto e dice: lui non deve pagare. Che però si becca anche lui (Ernesto Grande Aracri) 24 anni di carcere al processo Kyterion nel novembre 2016 per essere stato il mandante assieme a Nicolino dell’uccisione di Antonio Dragone nel 2004…
Il feuilleton è di interesse qui per il fatto che molte di queste discussioni passano per il Garda Village di cui, dice Giglio, la famiglia Prospero è proprietaria. Di certo è il fatto che la società costruttrice del complesso residenziale e alberghiero, il cui valore stimato supera i cento milioni di euro, è la Sermana srl, nel cui consiglio di amministrazione sedeva Ermes Prospero, padre di Mauro, quando nel 2008 i “Borghi di Garda Resort Village” vennero sequestrati e sigillati su ordine della magistratura con una imponente operazione di polizia, cani ed elicotteri compresi. “Lottizzazione abusiva” era la principale imputazione, di cui dovette rispondere anche l’allora sindaco di Peschiera Umberto Chincarini. Avevano costruito circa 250 alloggi dove secondo la Procura doveva esserci solo un hotel. E molti di quegli appartamenti erano già stati venduti a prezzi che oscillavano dai 3.500 a 5.000 euro al metro quadro. Di altrettanto certo è che gli appartamenti del Garda Resort Village sono oggi in vendita on line (a prezzi leggermente più bassi) e proposti da Booking anche per singole notti.
Prospero Mauro era dunque di casa, se non proprio il padrone di casa, in quel complesso residenziale con campi sportivi e piscine dove si incontrano nel 2012 Michele Bolognino e Rocco Femia. Ed è lì, racconta il maresciallo D’Agostino in aula il 20 aprile, che Bolognino invita il boss delle slot machine alla inaugurazione del “Cenacolo del Pescatore”. Il grande ristorante che si trova in Strada Calerno, a Montecchio Emilia, è un punto nevralgico dell’attività della ‘ndrangheta reggiana che utilizza la strategia delle intestazioni fittizie di società e immobili per eludere le misure di prevenzione patrimoniale e per rimettere in circolo i denari provenienti dalle attività illecite. Secondo l’ordinanza di rinvio a giudizio erano complici in questa attività Palmo e Giuseppe Vertinelli, Giuseppe Giglio, Alfonso Diletto, Michele Bolognino e Nicolino Grande Aracri; con gli ultimi due definiti come i veri proprietari occulti dell’immobile, delle società ad esso riferite e dell’attività di ristorazione.
Bolognino almeno si muove come se lo fosse, il proprietario, perché è lui a invitare le persone che contano. A Nicolino Sarcone dice in una telefonata intercettata: “Senti a me, vedi che sabato sera inauguriamo il ristorante… lo prendiamo noi con un amico tuo…”
“Un amico mio buono?” chiede Sarcone.
“Ehh!!” risponde Bolognino.
Secondo chi indaga quell’amico buono è Nicolino Grande Aracri.
Femia, Giuseppe e Giuglio Giglio, Sergio e Michele Bolognino, Floro Vito: tra un brindisi e l’altro, tra le rive del Garda e le zanzare di Montecchio, si parla di lavoro, di affari futuri, si fanno progetti per mettere assieme edilizia e ristorazione, attività balneari e gioco d’azzardo. Soprattutto nel ravennate, dove Femia gestisce già un ristorante e un hotel a Punta Marina che propone a Bolognino. Sono a pochi chilometri dalla sontuosa villa di Conselice “con piscina, bagno turco e casseforti” (così la rappresenta il Resto del Carlino nel 2013) che il re delle slot ha costruito per la figlia (e per sé stesso) partendo da un vecchio casolare.
A non lasciare che maturassero gli affari comuni tra il boss della Romagna e quelli di Reggio Emilia ci hanno pensato le indagini e gli arresti di Black Monkey e di Aemilia, ma un punto d’incontro c’è stato. Forse anche più di uno. Femia ha una cosa ad esempio che lo accomuna molto in particolare a Giuseppe Giglio: entrambi non andavano d’accordo con la dichiarazione dei redditi. Giglio, ricordiamo, era nullatenente per il fisco nel 2012 ma contemporaneamente gli investigatori sono risaliti a 1008 conti postali e bancari a lui riconducibili. Femia nel 2004 non presentò alcuna dichiarazione dei redditi e nel 2005 denunciò ricavi lordi per un totale di 7942 euro. Eppure la Guardia di Finanza, indagando su di lui, trovò che le sue auto erano una Audi Q7, una Lamborghini Murcielago, una Porsche Carrera, una Audi A8: quattro auto che assieme fanno un prezzo d’acquisto superiore al mezzo milione di euro. Forse è per questo che Femia propose a Bolognino di costruire un casinò sul Garda: sperava di vincere al gioco e comprarsi un nuovo bolide.
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