IL BIGNAMI DELLA ‘NDRANGHETA – parte seconda
Paolo Bonacini, giornalista
Seconda puntata del Bignami di Antonio Valerio, il collaboratore di giustizia che ha impresso una svolta importante al processo Aemilia. Partendo però da alcune frasi di una lettera inviata al nostro blog, a commento della prima puntata, dall’ex segretario della Camera del Lavoro di Reggio Emilia Gianfranco Riccò:
“E’ sorprendente come una storia che ci dovrebbe far piangere riesca anche a farci anche ridere… (perché) innalza sul piedistallo cose umanamente sorprendenti, di soggetti ritenuti disumani, per i quali la vita degli altri non ha mai avuto nessun valore. C’è molta materia per politici desiderosi, speriamo, di ripensare la strategia contro le mafie abbandonando la retorica consolatoria che dice: abbiamo fatto un protocollo con la Prefettura. Per capire, attraverso una serie autocritica, dove si è creato quel nodo che ha impedito, e forse impedisce ancora, nonostante i risultati di un grande processo come Aemilia, di conoscere le dinamiche che collegano la vita criminale alla vita quotidiana della società.”
La fattura
C’è una passaggio nelle deposizioni di Valerio che riguarda l’interesse e la disponibilità dell’imprenditoria locale alla falsa fatturazione. E’ uno dei terreni più fertili nei quali la ‘ndrangheta pianta radici. Una delle dinamiche più abituali, per citare Gian Franco Riccò, che collegano la vita criminale alla vita quotidiana della società.
Antonio Valerio: “Dottore, la fattura è ossigeno; sono soldi che entrano, soldi che girano, soldi che vanno. La fattura è la vecchia tangente, la vecchia mazzetta. Quando mi fai fare una fattura vuol dire che c’è un tornaconto per entrambi. Prima l’estorsione noi la chiamavamo la mazzetta: hai una attività? Mi devi pagare una percentuale. Può essere il 2%, il 3% o il 4%. Se invece vogliamo ragionare oggi, la mazzetta che era allora oggi è la fattura.”
Dott.ssa Ronchi: “Ma in questo senso le cose cambiano, perché l’imprenditore… non è più solo una vittima?”
Valerio: “No, no. Perché vi dico che uno è connivente, è colluso, contiguo. Perché se io ti faccio una fattura, tu ne trai beneficio. C’è pure quello che si prende il 10% se la fattura è al 22% (Iva); cioè si piglia la metà, si piglia un terzo, dipende dagli affari. Poi ti dò (anche) il lavoro, che io faccio il muratore, ma quello è un di più, non è quello che giustifica… Per questo vi dico che a Reggio Emilia, iniziamo da Masone a scendere verso in giù, o viceversa, emerge un mondo che non avete idea, soprattutto nel nostro mondo cutrese, che orami la fattura la facciamo pure al tabaccaio”.
La spremuta
La falsa fatturazione e il mercato nero dell’Iva sono talmente diffusi, secondo Valerio, da meritare una simbologia da cabaret che fa rabbrividire:
Valerio: “Voi (procura antimafia) avete tirato fuori dal nulla qualcosa di mirabile. Ma è veramente una pochezza, credetemi, perché se si prende una persona e si spreme, in un essere umano esce fuori del magnesio, calcio, ferro, insomma tutto il resto. Se invece prendiamo tutti gli imprenditori cutresi e li sezioniamo, lì invece esce Iva, tasse non pagate, imposte dirette e non dirette, ogni (ben di) Dio esce fuori, anche gli assegni famigliari e di maternità”.
Dott.ssa Ronchi: “Naturalmente la premessa è che l’arricchimento deve stare all’interno della ‘ndrangheta, perché la falsa fatturazione penso sia un male comune, in generale nel nostro Paese”.
Valerio: “No, no, attenzione. Qui quando parliamo di cutresi non è la gente comune. E’ una consorteria, un sodalizio. Il sodalizio emiliano, quello intendo”.
Seguono venti pagine di omissis nelle quali forse Valerio illustra alcuni esempi di “spremute d’Iva”.
La Criminal Pop
Dice Antonio Valerio mentre identifica ai procuratori antimafia gli appartenenti alla cosca: “Michele Bolognino è uomo di ‘ndrangheta: la vox populi che girava nella Criminal Pop era questa”.
Criminal Pop, uguale: ambiente criminale, voci di corridoio, dialoghi in carcere, passaggi di informazioni tra affiliati, sguardi, capannelli, silenzi. Quasi un gazzettino della ‘ndrangheta a parole e gesti, senza pagine scritte, senza date e riscontri oggettivi, ma con un realismo di fondo indiscutibile per chi ci tiene ad aggiornarsi sulle evoluzioni della Famiglia se vuole campare a lungo. Vertinelli ha rischiato grosso sfidando Nicolino Grande Aracri all’asta di Le Castella nel crotonese. Dice Valerio: “Secondo la Criminal Pop quell’area ricadeva sotto Isola Capo Rizzuto, dove comandavano gli Arena e non i Grande Aracri”. Ma si trattava di una informazione vecchia, una Criminal Pop non aggiornata.
La ricetta
Come si brucia una macchina parcheggiata senza lasciare traccia dell’origine dolosa del rogo?
Valerio: “Praticamente si piglia una tanichetta di plastica da cinque litri, dieci litri, quelli che sono: dipende il danno che vuoi fare. La si riempie un po’ di benzina e un po’ di gasolio: di solito io facevo sette euro di benzina e tre di gasolio. Si riempie la tanichetta e la si posiziona sotto l’auto, con una diavolina accesa sopra la tanica. E questa dopo fa un botto che salta tutto quanto. Va la Scientifica e non trova nulla! Io l’ho imparata da altri ‘sta tecnica, da due campani: Vacchio Edoardo e Santonastaso Raffaele. Loro lo fecero in via Papa Giovanni vicino ad una banca, che passarono anche davanti alle telecamere della banca e si camuffarono un po’. Bruciarono pure loro una BMW, come quella che ho fatto incendiare io di Antonio Brugnano. Però era una berlina, mentre quella che ho fatto bruciare io era una X5. Ci ho mandato Antonio Sicilia e un altro ragazzo e anche con il macchinino la Scientifica non ha trovato nessuna traccia. Praticamente tu accendi la diavolina sopra la tanica, che ti lascia pure il tempo di andare via, di spostarti. Praticamente la diavolina si consuma nella parte sopra, perché è bagnata con qualche solvente che si incendia, finchè arriva sotto e poi buca la plastica (della tanica) e salta tutto. E stranamente non trovano tracce. Io so che vanno con un macchinino a rilevare se è doloso o meno, e non trovano niente. Purtroppo adesso che l’abbiamo raccontata la impareranno in tanti… Ma secondo me lo sa anche il Blasco come si fa…”
I Mentalisti
Se provassimo ad infilare i protagonisti di Guerre Stellari nelle trame di Aemilia, i maestri Jedi si chiamerebbero “mentalisti”.
Valerio: “Avevo dei maestri di criminalità non indifferenti: Nicolino Grande Aracri, il Tonino Coniglio (Antonio Ciampà, detto Coniglio), il Nicolino Sarcone. Non ho conosciuto bene il Gaetano Ciampà, che è un altro di quei mentalisti non indifferenti. Perché loro ti capiscono già mentre parli, mentre respiri, dal movimento delle mani, dal movimento dello sguardo. Ti guardano tutto, ti capiscono in un modo… cioè ti scannerizzano. Lo scanner, raggi ics: quello fanno”.
Dott.ssa Ronchi: “Ciascuno ha i suoi maestri”
Valerio: “Tonino Coniglio mi disse una cosa mentre mi portava da Antonio Pelle (la Mamma di San Luca, altrimenti detto da Valerio: il Presidente della Repubblica)”
Ronchi: “Tanto tempo fa…!”
Valerio: “Nel ’92, o ’91. Mi disse: imparati una cosa. Quando porti qualcuno da qualche parte, al ritorno cavagli gli occhi. Sa cosa vuol dire?”
Maresciallo Emilio Veroni: “Che se ha visto il luogo, dopo può tornarci da solo”
Valerio: “Ma non ci deve andare da solo, perché prima o poi ti fotte, ti frega. Questa è la verità. E mi ha fatto quell’esempio lì. Perché loro sono mentalisti”.
I tragiratori
Ne parla talmente tante volte, Valerio dei “tragiri”, che darne una definizione corretta diventa paradossalmente difficile. Assodato che i tragiratori sono coloro che compiono i tragiri, la spiegazione più coerente del termine viene dalla separazione delle parole: tragiri uguale tragici raggiri. Dietro un tragiro c’è in sostanza un tradimento, un raggiro, un falso sorriso, una interessata amicizia. L’altra componente fondamentale è che il raggiro non sia un semplice scherzo, ma finisca in tragedia. L’ideale è la morte, perché il tragiro sia perfetto. E’ molto rischioso fidarsi di chi ha fama di tragiratore. L’uccisione di Nicola Vasapollo, nella propria abitazione a Pieve Modolena nel 1992, lo dimostra.
Valerio: “Pensavano che fossi stato io a convincere Vasapollo a fargli aprire la porta, ma in verità io non mi sono mai mosso di casa. Sono Topino (Antonio Macrì) e Sarcone (Nicolino) che hanno suonato, e lui li ha visti e non voleva aprire, poi dopo molte insistenze ha aperto.”
Dott.ssa Ronchi: “A chi ha aperto Vasapollo? ”
Valerio: “Ha aperto a Topino. Gli ha aperto a Topino perché Nicolino, si sapeva, è un tragiratore per natura. La sua natura di tutta quella famiglia lì sono tragiratori: quella era e quella è rimasta, non è che sono cambiati. Ecco perché io con loro non ho mai avuto… (tanta confidenza). Perché sapevo che nei tragiri quelli ti possono ammazzare.”
La storia in cinque righe
Un Bignami che si rispetti deve saper condensare molti fatti in poche espressioni. Valerio lo fa egregiamente nello spiegare quando, come e perché la ‘ndrangheta si radica al nord. Aggiungendoci, già che c’è, un confronto con il terrorismo islamico e con i grandi flussi migratori su scala planetaria.
Valerio: “Negli anni Ottanta uccidono un altro signore di Mesoraca, un paesello vicino a Cutro. Da qui cominciano i contrasti e cominciano a dare la sorveglianza a Dragone. Lo hanno mandato fuori Cutro e ve lo hanno mandato su al Nord. E avete importato in quel momento… come quando facevo quel parallelismo, quei dualismi Isis, al Queeda, ‘Ndrangheta. Diciamo che quando importiamo noi tutti ‘sti extracomunitari, e non si fa una cernita, noi importiamo il terrorismo.
E voi, qua, è stata importata la ‘ndrangheta. I primi sono venuti qua negli anni ’67 (!). Nel ’67 partirono i primi verso Reggio Emilia, di cui ci fu anche mio padre qui. Però non gli piaceva e quindi se ne tornò giù”.
Se fosse rimasto a Reggio, il padre di Antonio, forse non sarebbe rimasto vittima del tragiro che gli costò la vita: un colpo di pistola sparato in faccia in via Nazionale a Cutro dal falegname Rosario Ruggiero. Detto “Tre dita”.
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