PROCESSO AEMILIA: A LEZIONE DAGLI STUDENTI

18 Novembre 2016

Paolo Bonacini, giornalista

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Sono tanti, di tante classi e istituti: riempiono i banchi del processo Aemilia altrimenti vuoti e non piacciono agli imputati perché sanno raccontare a modo loro, con incredibile efficacia, la posta in gioco in questo processo.

La mattina di mercoledì 16 novembre fa piuttosto freddo ma alle 8,30 una quarantina di ragazzi imbacuccati sono in circolo con i loro professori nel piazzale del Tribunale di Reggio, in attesa di passare sotto i metal detector di accesso al prefabbricato del processo Aemilia. Sono studenti dell’istituto tecnico statale Luigi Einaudi di Correggio; hanno tra i 17 e i 19 anni, frequentano classi quarte e quinte. I loro insegnanti hanno deciso di inserire nei programmi di studio un percorso di approfondimento sui temi della legalità e della lotta alle infiltrazioni mafiose.
Capita spesso di incontrare classi di ragazzi delle Superiori al processo: riempiono i banchi del pubblico altrimenti molto vuoti, seguono lo svolgimento delle udienze con l’inevitabile handicap di poche ore a disposizione per mettere a fuoco deposizioni su fatti molto particolari, nei quali è difficile districarsi senza avere acquisito una certa dimestichezza con i protagonisti di questa vicenda e soprattutto con le oltre 100 mila pagine di atti processuali sino ad ora scritte e depositate.
Eppure la loro non è solo una presenza simbolica. Il progetto a cui lavorano è coordinato da quattro professori: Marcello Rossi, Paolo Bartoli, Samanta Bosatra e Angela Pirondi.

E’ attivo da anni e i ragazzi hanno stretto una sorta di gemellaggio con gli studenti del liceo statale Elsa Morante del comune di Napoli. Nell’ultimo anno scolastico i ragazzi campani sono venuti in visita a Correggio e viceversa. Da quel viaggio a Napoli è nato un documentario prodotto dallo Spi Cgil di Reggio, premiato al film festival di Camaiore.

C’è raccontato il quartiere Scampìa, dove si trova la bella e moderna sede del liceo. Ma attorno, racconta la giornalista Paola Guidetti, c’è il panorama di condomini grigi e silenziosi che si affacciano su strade deserte, senza bar e negozi, dove non si passeggia senza che qualcuno ti chieda il perché, con isole di degrado alternate a piccoli spazi verdi oggi chiamati “I giardini ritrovati”, che prima erano terra per lo spaccio della droga ed ora sono stati riportati alla decenza e alla comunità.

Sono le due facce di questa città che si incontrano ovunque: lo Stato e l’Antistato, la Polizia e il controllo parallelo di ragazzi che con arroganza ti chiedono chi sei e cosa sei venuto a fare. Il titolo del documentario è una grande scritta che campeggia nel quartiere, alta sopra il muro di una pensilina: “Quando la felicità non la trovi, cercala dentro”.

Esprime l’orgoglio degli studenti dell’Istituto Morante che dicono a quelli di Correggio: non fermatevi alla superficie, non guardate solo il degrado. C’è del buono qui, c’è la stessa richiesta di legalità che anima voi su al nord. Torneranno altri studenti dell’Einaudi di Correggio al processo Aemilia; altre classi, il 22 e ancora il 29 novembre. E in qualche modo tutti loro sanno già di cosa si parla in aula.
Lo sanno anche i ragazzi del liceo Formiggini di Sassuolo che erano in tribunale l‘8 novembre. Sono più giovani, frequentano le classi seconde, ma seguono un corso di diritto tenuto dal prof. Carmelo Frattura nel quale si affrontano i temi del processo penale, delle libertà personali, dei diritti fondamentali. Anche loro, come studenti e insegnanti di Correggio, si sono appoggiati a “Libera”, l’associazione contro le mafie nata nel 1995 dall’impegno e dal cuore di don Luigi Ciotti.

Oggi l’associazione è un coordinamento di oltre 1500 tra gruppi, scuole, realtà di base, inserita tra le 100 Ong più significative al mondo, impegnata a diffondere la cultura della legalità. Al processo Aemilia sono sempre presenti operatori e sostenitori di Libera, che come in tutti i processi di mafia si è costituita parte civile.
Il giornalino della scuola che scrivono gli studenti del Formiggini si chiama “L’intervallo”. Non esce spesso ma nell’ultimo numero, in primavera, c’erano diversi articoli, interviste, notizie, collegati ai temi della lotta alle associazioni mafiose. Alcuni di questi ragazzi il 21 marzo scorso, dopo tre corsi di preparazione all’evento, sono scesi a Messina per partecipare ad una grande manifestazione per la legalità organizzata nell’isola.

Sono rimasti là quattro giorni visitando i luoghi, si legge nel giornale, dove don Pino Puglisi, Giovanni Falcone e Paolo Borsellino “hanno lottato per un Paese migliore, non indifferente alle ingiustizie e alla corruzione”. La sera prima della manifestazione hanno incontrato Nadia Firmati, responsabile dell’associazione “Rita Atria”, che ha loro raccontato la storia della giovane ragazza di cui portano il nome. Rita, cresciuta in un ambiente mafioso, trovò la forza di ribellarsi alla sua stessa famiglia ma non resse alla morte di Paolo Borsellino, che aveva raccolto le sue testimonianze, e si suicidò una settimana dopo la strage di via D’Amelio gettandosi dal settimo piano di un palazzo. Aveva solo 17 anni. Il giorno dopo questo incontro i ragazzi di Sassuolo hanno manifestato indossando le magliette arancioni che ricordano Rita.

Alle televisioni locali che li intervistavano hanno detto senza tanti giri di parole: “La mafia è una montagna di merda e noi oggi siamo qui per ricordare le vittime innocenti e quelli che hanno lottato per la giustizia; marciamo per la libertà”.
Il giornale scritto da questi studenti contiene anche l’intervista ad un imprenditore vittima della camorra, racconta la manifestazione di Reggio Emilia contemporanea a quella Messina, si occupa di immigrazione e di ospitalità, racconta il dramma dei profughi naufraghi con la sensibilità di chi non pensa alla nostra paura, di italiani spaventati dall’invasione, ma alla loro, di stranieri che affrontano il mare con il terrore della morte che si alterna alla speranza della vita. C’è da imparare, a leggere quel giornalino.

Non c’erano a Messina ma sono andati a Palermo e poi a Napoli anche gli studenti di alcune classi dell’Istituto tecnico Scaruffi-Levi-Tricolore di Reggio Emilia.

Il progetto è analogo, educazione alla legalità, ed è sempre Libera a fornire un aiuto indispensabile per consentire gli incontri tra ragazzi di regioni diverse e per aiutare la comitiva in tribunale, il 26 ottobre, a capire questa enorme macchina giudiziaria che ruota attorno ad un numero enorme di reati e di imputati. I professori che li accompagnano sono Paola Montanari, Ettore Bianchini e Maria Cristina Bertolini: meriterebbero come gli altri loro colleghi un premio speciale per avere individuato questo luogo e questi temi come terreni preferiti di approfondimento e di studio. Stesso discorso per i professori Maria Rosaria Iacomino e Patrizia Malagoli, dell’Istituto Cattaneo Dall’aglio di Castelnovo Monti: venerdì 18 sono in aula con i ragazzi di due classi quinte che frequentano i corsi di scienze umane e di amministrazione, finanza e marketing. E che da due anni, in particolare, lavorano ad un progetto di approfondimento sui temi della legalità. Sono circa 50, in prevalenza ragazze; ad accompagnarli nell’aula è il sindaco di Castelnovo Monti, Enrico Bini, che rappresenta al meglio, anche grazie alla frequente presenza fisica al processo, la risposta delle istituzioni alle mafie.

Ne verranno altri, di studenti e di insegnanti a seguire il processo, ma non era scontato. Il 20 maggio scorso, a due mesi dall’apertura del rito ordinario, una ventina di studenti delle scuole superiori di Argenta e Portomaggiore, approfittando di uno sciopero a scuola, sono venuti da Ferrara a Reggio Emilia assieme ad un loro professore per assistere ad una udienza del processo. I familiari degli imputati, sempre presenti in aula, alla vista di quei ragazzi hanno cominciato ad agitarsi e a brontolare con frasi e battute sgradevoli: “Andate a studiare invece di stare qui a perdere tempo”, “Sembra di stare all’asilo”. L’avvocato difensore di Pasquale Brescia, Luigi Comberiati, ha dato veste giuridica a queste lamentele chiedendo l’allontanamento degli studenti in base all’articolo 471 del codice di procedura che prevede la maggiore età per assistere ad udienze penali pubbliche.

Il collegio giudicante ha risposto rigettando la richiesta: “E’ vero il riferimento alla maggiore età nell’articolo del codice citato” ha detto in sostanza il presidente Francesco Maria Caruso “ma riteniamo che in questo caso si possa derogare perché la partecipazione degli studenti al processo è un fondamentale ausilio alla formazione dei giovani alla legalità, visto anche l’interesse particolare riconosciuto al processo Aemilia”.
Scrive a commento di questa decisione Giuseppe Baldessarro su Repubblica il giorno dopo: “Per una volta i panni sporchi la ‘ndrangheta non riuscirà a lavarseli in famiglia. Gli studenti guarderanno gli imputati negli occhi, conosceranno le accuse che vengono loro mosse e potranno farsi una loro idea. L’esperienza nell’aula bunker di Reggio sarà oggetto di discussione e approfondimento in classe, sarà vera e propria formazione.”

Che gli imputati di associazione mafiosa temano i giovani più di chiunque altro è comprensibile: sono loro le coscienze del domani, ed è la loro pulizia morale il peggior rischio per chi conta sul silenzio che deriva dall’omertà e dall’opportunismo.
Se tante classi potranno ancora entrare nell’aula del processo Aemilia, lo si deve al collegio che ha detto sì la prima volta.
Una innovativa e positiva interpretazione del codice di procedura penale, assolutamente coerente con il diritto dei minori ad essere educati ed informati”: così l’ha commentata Luigi Fadiga, Garante dell’infanzia e dell’adolescenza in Emilia Romagna.
Viene solo da aggiungere: una decisione coraggiosa e benvenuta, perché benvenuti sono i ragazzi quando in gioco sono il futuro e il modello della società che appartiene a loro. Non alla ‘ndrangheta.

di Paolo Bonacini

Nella foto gli studenti dell’Istituto Cattaneo di Castelnovo Monti assistono ad un’udienza del Processo

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