PROCESSO AEMILIA: COSA SUCCEDE ALLE POSTE?

29 Novembre 2016

Paolo Bonacini, giornalista

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La movimentazione del denaro di dubbia provenienza sembra continuare anche dopo gli arresti del gennaio 2015 e l’avvio del processo Aemilia. Le somme sono ingenti, il personale agli sportelli è particolarmente esposto, sindacato e direzione di Poste Italiane stanno collaborando per portare alla luce le operazioni sospette.

Tra il 2011 e il 2012 gli uomini della ‘ndrangheta hanno ripulito grandi quantitativi di denaro nella nostra regione (è emerso dalle indagini e dalle udienze del processo Aemilia) passando attraverso sportelli bancari e uffici postali, si legge negli atti, “scarsamente solleciti ad esercitare i poteri di segnalazione previsti dalla normativa antiriciclaggio”.
E dopo? Dopo le indagini, le intercettazioni, gli arresti, l’avvio del processo. E’ terminato questo massiccio ed improprio ricorso alle casse di banche e poste per spostare e monetizzare ingenti somme provenienti da e destinate ad attività e guadagni illeciti?

E’ un interrogativo, a dire il vero, che non riguarda solo la movimentazione del denaro sporco ma l’insieme dei reati di cui è stata protagonista la cosca emiliana: dalle estorsioni alle frodi fiscali, dalle usure alla appropriazione indebita di società e lavori.

Sono terminate queste pratiche? In altri termini: la cosca mafiosa che operava in Emilia Romagna, con baricentro Reggio Emilia, è stata stroncata definitivamente con l’operazione Aemilia o nell’ombra, mentre il processo va avanti e nonostante siano in carcere i capi, c’è sempre chi lavora per la Famiglia?

La comunità locale, le istituzioni, le associazioni che guidano l’economia e la finanza, farebbero bene a muoversi e cercare risposte sul territorio senza attendere l’esito del processo. La storia degli ultimi vent’anni ci insegna che abbiamo sottovalutato la capacità di penetrazione e di radicamento della ‘ndrangheta; dovremmo farne tesoro per il futuro. Senza aspettare che siano i blitz disposti dalla DDA, come quello del 28 gennaio 2015 che portò all’arresto di 117 persone, a dirci se il problema c’è ancora e in che misura.
Sul riciclaggio del denaro sporco e su alcune pratiche che lo generano oggetto del processo (strozzinaggio, usura, affidamenti di società cartiere) qualche risposta c’è e non autorizza ottimismo.
In primo luogo si può leggere una preoccupante corrispondenza di cifre e tendenze emergere dall’incrocio dei dati di due diverse ricerche: il rapporto Eurispes 2016 sulla diffusione dei reati di usura e il report di Banca d’Italia sulle operazioni sospette del primo semestre 2016. Il primo, ne abbiamo parlato, dice che l’Emilia Romagna è una delle regioni con le peggiori performances sul fronte dei reati di usura, triplicati negli ultimi otto anni. La percentuale è del 12% sul giro d’affari nazionale del 2015 (37 miliardi di euro prestati, 82 restituiti) relativo ai finanziamenti non tracciabili. Parma in questa indagine è la capitale italiana della permeabilità all’usura. Il secondo dice che, da gennaio a giugno 2016, dall’Emilia Romagna sono giunte alla banca centrale 3580 segnalazioni di operazioni sospette, in aumento del 28% sul semestre precedente, che inseriscono la regione nella classe di rischio più elevata. Modena è al primo posto con la media di una operazione sospetta al giorno; e stiamo parlando solo di quelle segnalate.
Altre informazioni arrivano dalle dinamiche in atto nei tanti uffici postali della nostra regione dove si movimentano soldi e risparmi. Dove grazie ai nuovi strumenti di gestione del credito e all’uniformità dei mercati, tante famiglie trovano una valida alternativa agli sportelli bancari. In fondo utilizzare un bancomat o un postamat non fa grande differenza.
Alla fine del 2015 è il sindacato Slc Cgil dei lavoratori della comunicazione a porre il problema; in una provincia dell’Emilia Romagna sollecita formalmente la direzione di Poste Italiane ad affrontare il tema delle operazioni sospette agli sportelli per valutare le migliori procedure operative nel rispetto della normativa antiriciclaggio. In quell’incontro i dirigenti di Poste chiedono relazioni e segnalazioni scritte; il sindacato SLC risponde dicendosi ben disposto a confermare per iscritto quanto si sta verificando negli uffici postali e a collaborare per “fare fronte comune e tutelare al meglio sia i lavoratori che l’immagine di Poste Italiane”.
E le segnalazioni arrivano rapidamente. Già agli inizi del 2016 la direzione di filiale e il responsabile Ruos (risorse umane, organizzazione e servizi) possono farsi una idea delle strane e ripetute abitudini di un numero consistente di clienti che si presenta agli uffici postali. Parliamo del periodo che va dal gennaio 2015 al gennaio 2016: dopo gli arresti, dopo che in teoria è stata smontata la macchina dell’illecito.
“La situazione si è aggravata. Il fatto è diventato sempre più evidente e preoccupante, creando tensioni, stress e difficoltà nel lavoro quotidiano del personale”. Di che fatti sta parlando chi scrive? Lo si capisce dalle informazioni raccolte che raccontano esperienze vissute dal personale agli sportelli: “Una certa tipologia di clientela sta letteralmente prendendo ‘d’assalto’ gli uffici postali del territorio, ritirando in continuazione e quasi giornalmente denaro contante proveniente da bonifici (molti dei quali esteri)”.

E’ un campanello d’allarme che i dettagli successivi mettono a fuoco, partendo dalle segnalazioni degli operatori. Si entra così in pratiche e dettagli sempre più inquietanti che ben figurerebbero tra le decina di migliaia di pagine del processo Aemilia: “Sono movimentazioni di denaro contante, per volumi complessivi molto rilevanti, realizzate utilizzando una pluralità di carte che risultano poi collegate a conti correnti postali radicati in particolare nelle province di Reggio Emilia e di Modena”. Ma il trasferimento e la riscossione del contante avvengono utilizzando anche altri strumenti leciti: dai ‘sempreverdi’ vaglia ai servizi delle moderne società che operano on line su scala mondiale.

La clientela che effettua queste operazioni risulta essere residente nelle province di Reggio Emilia e Modena. “Entrano negli uffici in gruppo, prelevano, escono, dopo pochi minuti riappaiono per prelevare ancora, magari ad uno sportello diverso dall’operazione precedente. Sono originari per la maggior parte della regione Calabria e dalle ultime segnalazioni anche della regione Campania. Si conoscono tra di loro e capita spesso che in un ufficio nello stesso momento siano presenti in diversi per effettuare prelievi diversi ma dal medesimo conto corrente postale. Dopo ulteriori verifiche successive alle operazioni compiute agli sportelli è stato evidenziato come i medesimi clienti si siano recati in tantissimi uffici, spaziando dalla Romagna fino a Piacenza, prelevando tutto il denaro dai conti correnti”.
Conti correnti che vengono poi evidentemente alimentati con nuovi versamenti; o sui quali vengono compiute operazioni a catena e simultanee di prelievo e versamento nello stesso ufficio, talmente numerose da renderne difficoltosa la tracciabilità.

E cosa succede se queste anomalie accendono un legittimo dubbio negli operatori? La cornice del quadro normativo di riferimento è rappresentata dal decreto legge n. 231 del 21 novembre 2007, che recepisce le direttive della Comunità Europea. Il dipendente di Poste Italiane al banco (al pari di chi opera agli sportelli bancari) deve adempiere a specifici obblighi, in particolare alla “adeguata verifica” della clientela: controllo dei documenti, compilazione di appositi questionari, ecc. E qui nasce un nuovo ordine di problemi denunciati nel gennaio scorso: “Gli operatori che fanno il loro dovere, che segnalano operazioni sospette, incorrono nelle velate minacce da parte di questi particolari clienti”.
Frasi e atteggiamenti minacciosi sono stati segnalati a Cadelbosco Sotto, dove un dipendente di Poste ha chiesto e ottenuto il trasferimento ad altra sede, nel modenese, in diversi uffici postali di Parma. In genere chi vuole intimidire l’operatore allo sportello mostra di conoscere le sue abitudini di vita, la composizione della famiglia, i beni posseduti tipo casa e automobile. Se ti senti dire, quando segnali al cliente un problema sull’operazione che vuole compiere: “E’ sua la Fiat parcheggiata qui fuori?” non è che dopo lavori tranquillo.

Più che velate queste minacce appaiono molto esplicite. Ancora meglio: gravi. Si tratta di vere e proprie intimidazioni che aggrediscono la sfera personale di vita del lavoratore.
Ma la storia delle operazioni sospette e della squadra che versa e preleva su Banco Posta seguendo procedure ben studiate si allarga. “Negli ultimi mesi si presentano negli uffici anche ragazzi extracomunitari, ragazze dell’Est Europa e clienti anziani”. Sembrano manovalanza istruita a dovere; conoscono benissimo la procedura a cui debbono sottostare e sono perfettamente in grado di compilare senza aiuto la modulistica che viene loro sottoposta. Tra le causali delle movimentazioni che realizzano compare a volte la voce “regalo”: evidentemente c’è chi vuole molto bene a questi anziani e stranieri.
Immaginiamo a questo punto di essere un dipendente di Poste Italiane allo sportello postale, magari in quegli uffici mono unità dove lavora una sola persona, e ci sarà facile capire la preoccupazione e la tensione che condizionano il lavoro.

Sindacati e Azienda conoscono queste storie e si riconoscono reciproca sensibilità, disponibilità e impegno nel cercare di affrontare e risolvere il problema. La tutela degli operatori e la correttezza delle movimentazioni agli sportelli sono i primi due obbiettivi. Il terzo riguarda tutti noi: chi sono questi clienti e per chi lavorano, ammesso che abbiano un mandante?

di Paolo Bonacini

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