LA LEGGE DEI SOLDI E LE NORME ANTIRICICLAGGIO “DIMENTICATE”

17 Settembre 2016

Paolo Bonacini, giornalista

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Le norme antiriciclaggio ci sono ed applicarle è un dovere. Ma spesso, Aemilia insegna, agli sportelli bancari e postali c’è chi se ne dimentica.

LA LEGGE DEI SOLDI E LE NORME ANTIRICICLAGGIO “DIMENTICATE”

Vincenzo Mancuso e Salvatore Cappa, calabresi d’origine, il primo residente nel veronese e il secondo a Ravarino di Modena, sono uomini chiave della ‘ndrangheta nella movimentazione e nel riciclaggio del denaro proveniente da attività illecite. Entrambi sono finiti agli arresti la notte del 28 gennaio 2015 quando scattarono le manette per 117 persone coinvolte nell’inchiesta Aemilia.

Ad entrambi la DDA contesta l’appartenenza all’associazione di stampo mafioso. Le indagini hanno consentito, si legge negli atti di accusa, “di accertare in maniera sostanzialmente inequivoca come Mancuso e Cappa siano stati in grado, mercè la collaborazione di altri indagati, di movimentare significative quantità di denaro attraverso un vorticoso giro di false fatturazioni, utilizzando società nella loro disponibilità, presentando all’incasso, presso istituti di credito se non compiacenti, certo scarsamente solleciti ad esercitare i poteri di segnalazione previsti dalla normativa antiriciclaggio, assegni poi monetizzati nella duplice prospettiva di una reimmissione nel giro e della distribuzione a terzi, ivi compreso l’immancabile Nicolino Grande Aracri”.

I signori Mancuso e Cappa sono peraltro in buona e vasta compagnia nello svolgimento delle loro attività illecite: nell’ordinanza sugli arresti del 15 gennaio 2015 il giudice Alberto Ziroldi cita con le medesime attitudini anche Giuseppe Giglio, punto di riferimento per tutti, Gianni Floro Vito, Mario Vulcano, Carmine Belfiore, Gaetano Blasco, Agostino Donato Clausi.

Sotto di loro, dice il Pubblico Ministero, ci sono poi “fidati collaboratori che hanno il compito di portare a compimento le operazioni finanziarie pianificate dal sodalizio presso gli uffici postali e gli istituti di credito ove insistono i rapporti di conto corrente della organizzazione”. Dunque per il PM, e poi per il Giudice delle Indagini Preliminari che ne accoglie le richieste di carcerazione, almeno tra il 2011 e il 2012 ci sono diversi “Istituti di Credito e Uffici Postali” che non si fanno tante domande sulla provenienza dei soldi; e ci sono funzionari alle casse disposti a chiudere un occhio e forse anche due sulla martellante movimentazione del denaro ricostruita dalle attività investigative. Stiamo parlando di migliaia e migliaia di euro incassati, prelevati, spostati, anche più volte al giorno, per un giro d’affari documentato, relativo ad operazioni inesistenti, di oltre 17 milioni di euro, con oltre 12 milioni di fatture false e 2,5 milioni di relativa IVA annotati nella contabilità di aziende fittizie o “cartiere”, costruite cioè al solo scopo di stampare fatture e frodare il fisco.

Ma quali e quanti sono questi istituti e sportelli che accolgono con l’inchino i banchieri della ‘ndrangheta? Dagli atti e dalle testimonianze emergono diversi nomi e sono paradossalmente le tante occasioni in cui “non si può far finta di non vedere” ad accendere un doveroso campanello d’allarme sul tasso di tolleranza al riciclaggio del nostro sistema creditizio.

Operazioni sospette vengono segnalate nella filiale di Bagnolo in Piano della Cassa di Risparmio di Parma e Piacenza, dalla sede centrale della Banca Popolare di Verona e nella filiale di san Bonifacio, dalla Veneto Banca, dal Banco San Paolo di Brescia, nella filiale di Modena di Banca Interprovinciale, da Poste Italiane spa.

Il primo febbraio 2012 presso la filiale modenese della Tercas, la Cassa di Risparmio di Teramo, Vincenzo Mancuso riesce a monetizzare 22 mila euro che entrano ed escono dal suo conto aziendale. La Tercas è considerata un istituto che pratica una “blanda applicazione delle disposizioni in materia di antiriciclaggio”. Nel 2015 andranno a processo per associazione a delinquere, bancarotta fraudolenta e riciclaggio anche transnazionale, l’ex direttore generale e l’ex presidente della banca, assieme ad altre dodici persone, tra le quali un nome noto a Reggio e Modena: l’avvocato Giampiero Samorì, già aspirante leader politico nazionale del centro destra, aspirante azionista di maggioranza della Banca Popolare dell’Emilia Romagna, aspirante editore multimediale con il giornale “Modena Qui” e il canale televisivo “TV Qui”.

Tutte cose finite Lì. Quando Mancuso presenta all’incasso assegni per 22 mila euro da lui stesso firmati, un funzionario della banca lo mette in guardia: “Enzo, con la massima serietà, non caricare troppo il fucile però… che quando uno fa troppi movimenti, troppe circolari, è inevitabile che qualcuno alzi le antenne, eh! Se superi i 12.500 euro l’operazione non ho detto che è sospetta, ho detto che viene segnalata nel senso che finisce nell’archivio unico informatico”.

Nello stesso archivio ci finiscono probabilmente anche le segnalazioni automatiche che l’applicativo “Gianos” utilizzato dalle Poste Italiane dovrebbe far scattare se versamenti e prelievi superano determinati parametri e soglie. Quante volte Gianos sia scattato nel 2011, quando la ‘ndrangheta ha movimentato oltre 32 milioni di euro con le Poste Italiane di Reggio Emilia, al ritmo di quattro operazioni al giorno, non si sa. Ma il condizionale è d’obbligo perché leggendo domande e risposte dei funzionari agli sportelli sul blog di Mondoposte.it nasce qualche dubbio: “Salve colleghi, volevo porvi una domanda: per quanto riguarda l’antiriciclaggio su operazioni occasionali superiori ai 5000 euro come vi state comportando? Ho sentito dire che spesso non si apre in automatico l’applicativo Gianos. E’ vera questa cosa?”; “Se ti si apre in automatico lo fai, altrimenti no”; “Ma siete sicuri di ‘sta cosa?” “Ragazzi, ma con questo antiriciclaggio… come vi state comportando? Io non ho ancora capito… La normativa interna cosa prevede? Ci sono due scuole di pensiero!…

Le idee chiare sembra avercele invece mercoledì 7 settembre, alla ripresa del processo Aemilia, Loretta Medici, ex direttrice di PosteImpresa Reggio. E’ l’ufficio di Poste Italiane attivo dal 2010 in via don Andreoli, aperto per soddisfare le esigenze delle piccole e medie aziende; ci lavorano una decina di operatori con tre sportelli per la clientela. “Onestà, trasparenza, correttezza e senso di responsabilità” sono i valori che vanta PosteImpresa Reggio quando festeggia il primo anno di attività, all’epoca dei fatti per i quali la Medici è chiamata a testimoniare. Rispondendo al Pubblico Ministero, dice di avere segnalato tanti clienti all’antiriciclaggio; o meglio, dice che le segnalazioni le faceva automaticamente il software Gianos alla centrale di Bologna, e dice che lei non aveva nessun potere per intervenire direttamente sulle operazioni sospette dei clienti. Neppure se Gianni Floro Vito, con una frequenza di due o tre volte alla settimana, caricava il conto della sua “Immobiliare 3 srl” a botte di 50, 60, 80 mila euro attraverso assegni o bonifici da altri istituti, e subito dopo li prelevava trasformati in contanti. “Lei non si è mai insospettita? Non ha mai ritenuto che ci fosse materia per l’antiriciclaggio?” le chiede il PM Mescolini. “Sì certo” risponde “Ma la regola delle Poste era che le segnalazioni dovevano arrivare a Bologna e poi ci pensavano loro”. “Non conosco le vostre regole” commenta con ironia il PM “ma conosco molto bene le regole stabilite dalla legge sull’antiriciclaggio che penso valgano in tutta Italia; dovrebbero valere anche nei vostri uffici postali”. Sul volto della signora Medici scende un’ombra, che diventa ancora più scura quando il Pubblico Ministero legge alcune battute di conversazioni telefoniche intercettate. I toni sono di grande cordialità e confidenza tra lei e l’uomo della ‘ndrangheta. Floro Vito chiede di tenere pronti 45mila euro in contanti perché verrà a ritirarli. Lei gli fa presente che è una bella cifra ma non gli dice di no. I soldi sul conto ci sono, appena entrati attraverso assegni e bonifici. A segnalare la cosa alla UIF, l’Unità di Informazione Finanziaria della Banca d’Italia referente per il sospetto riciclaggio, la direttrice non ci pensa; vuole solo essere sicura che Floro Vito passerà prima della chiusura, per non dover lasciare un pacco di banconote così corposo in cassa. Poi arriva la botta finale di Mescolini: “Senta signora Medici, lei è mai andata al centro di trattamento estetico Parìs?” “Sì, ci sono andata” “Lo sa che proprietario di quel centro risulta essere Floro Vito Gianni, attraverso la sua compagna?” “” “E lei l’ha pagato il trattamento estetico?” “Assolutamente no!” Risponde Loretta Medici lasciando trasparire un leggero risentimento. Come a dire: io i soldi a certe persone non li do. Non sa, o non vuole sapere, che la risposta giusta sarebbe stata l’altra: “Assolutamente sì”.

di Paolo Bonacini

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