Corghi: l’azienda chiede di convertire salario fisso in welfare aziendale e minaccia la delocalizzazione.
I LAVORATORI NON CI STANNO E PROCLAMANO 8 ORE DI SCIOPERO IN TUTTI GLI STABILIMENTI.
Welfare aziendale in cambio di salario strutturale, pena la delocalizzazione. E’ questa la “proposta” avanzata dalla Corghi Spa, storica azienda dell’automotive con sede centrale a Correggio, per incidere sul costo del lavoro dei propri dipendenti. La logica utilizzata pare essere quella del “prendere o lasciare”: sul tavolo delle trattative ha aleggiato infatti finora l’ombra del ricatto: accettare la riduzione dei costi attraverso forme di salario alternativo e defiscalizzato, convertito cioè in servizi, pena possibili delocalizzazioni. E’ su queste premesse, che non hanno lasciato spazio alle proposte alternative del sindacato, che nei giorni scorsi si sono interrotte le trattative, portando la Fiom Cgil e la Fim Cisl a proclamare per domani, 15 luglio, otto ore di sciopero in tutti gli stabilimenti: Sede centrale, via Modena ex Sice e Prato di Correggio, per un totale di oltre cinquecento addetti, e Pieve Fosciana, lo stabilimento di Lucca, dove operano un centinaio di dipendenti.
Lo sciopero di domani prevede un presidio davanti la sede centrale di Correggio e un corteo che muovendo verso il centro storico accompagnerà una delegazione incaricata di incontrare la prima cittadina correggese.
“Siamo nel pieno di un disegno portato avanti dalla Confindustria reggiana che, nel solco di quanto indicato da Squinzi, prevede non più aumenti salariali erogati nei rinnovi contrattuali – spiega Sergio Guaitolini, segretario Fiom provinciale – ma la loro sostituzione con welfare aziendale che impatti meno onerosamente sulle imprese”.
Tutto ebbe inizio nel gennaio 2014 quando l’Azienda dichiarò di avere due problemi: il costo del lavoro e una cinquantina di esuberi tra i livelli più alti ( che poi furono ridotti a 25 in una procedura di mobilità unilaterale).
“In quella fase, e fino a due settimane fa, la Fiom fece diverse proposte chiedendo di discutere di costi industriali e organizzazione del lavoro – spiega Davide Mariotti, funzionario Fiom che ha seguito la trattativa – di efficienza e produttività davanti alle quali l’Azienda ha sempre sostenuto di non avere margini di miglioramento da implementare”. Nel frattempo, come una spada di Damocle, pende sulla testa dei lavoratori il ricatto, più o meno velato, della delocalizzazione che porterebbe ad evidenti ricadute occupazionali e di incertezza sul futuro degli stabilimenti nel territorio. La Corghi è infatti già in Cina e discute di spostare alcune produzioni in Croazia. “Fino a quando nei primi mesi del 2015 – spiega ancora Mariotti – ci hanno ufficializzato il ricatto: o convertite i salari o il progetto che esiste su delocalizzazione del surplus di produzione smontagomme camion in Croazia prosegue”.
La volontà di trovare una soluzione alternativa a quella proposta dall’azienda sfuma in questo modo. Tanto più che non si ragiona di integrare elementi di welfare in un nuovo contratto ma la proposta continua ad essere sostitutiva di una parte di salario strutturale e già conseguito. Lo scambio che i sindacati ritengono inaccettabile dunque è: una consistente parte di salario fisso in cambio di servizi privati che vanno dalla sanità, all’assistenza figli e anziani (asili e case di riposo), ai campi estivi per i bambini, ai buoni pasto e benzina, alla consegna di farmaci in azienda, fino alla spesa alimentare a domicilio.
“Siamo davanti a un doppio livello di intervento: lo smantellamento del Ccnl da una parte e la sostituzione degli aumenti salariali a livello aziendale con welfare di natura privatistica – commenta Guaitolini -. Interventi che rischiano, in prospettiva, di diventare non “integrativi” ma “sostitutivi” di quello che è welfare pubblico e che magari sono gestiti dagli stessi imprenditori che hanno partecipazioni nelle imprese che erogheranno quei servizi, guadagnandoci due volte. La confindustria reggiana – conclude il segretario della Fiom – è tra le più attive a livello nazionale proprio in un territorio in cui la presenza del welfare pubblico ha sempre avuto un ruolo importante. La cosa dunque preoccupa ancor di più perché si fa strada, da più parti, un’idea generale che mette in discussione l’universalità del sistema di welfare”.